L’album dei ricordi: problemi pomice e silicosi al Senato (1957)
di Massimo Ristuccia
Al Senato della Repubblica nella 560° seduta del 24 luglio 1957 si parla di Lipari. Chi ne parla è il senatore Busoni, grande “amico” di Lipari, per i suoi trascorsi da “confinato” e per i suoi legami affettivi familiari, di cui già è stato scritto. Nell’occasione il senatore Busoni durante la discussione dei disegni di legge concernenti la polizia delle cave e miniere, presenta un ordine del giorno, dichiarando, prima di illustrarlo, che ciò risponde ad un dovere di coscienza e ad una promessa fatta ai lavoratori della pomice di Lipari. Nel suo intervento il senatore Busoni cita diverse volte il dottor Di Perri, sottolineando i suoi studi ed il suo interesse per i lavoratori della pomice pur non essendo un appartenente a partiti di sinistra. (Le foto che descrivono il contesto di cui si parla sono state gentilmente concesse da Salvatore Agrip).
560° SEDUTA – MERCOLEDI’ 24 LUGLIO 1957
DISCUSSIONE DEI DISEGNI DI LEGGE CONCERNENTI LA POLIZIA DELLE CAVE E MINIERE (tutela del lavoro e disciplina dell’attività delle miniere) tra l’atro:
MERLIN ANGELINA, Segretaria:
“Il Senato, in considerazione dei, pericoli ai quali sano esposti i lavoratori della pomice di Lipari, molti dei quali ‘colpiti dalla, più terribile forma di silicosi.
Ritiene che debba, essere provveduto alla sollecita trasformazione dei mulini di pomice col divieto assoluto di continuare la lavorazione coi sistemi attuali ed imponendo, immediatamente l’applicazione, di aspiratori in tutte le lavorazioni, ed impegna il Governo a provvedere in tal senso “.
PRESIDENTE. Il senatore BUSONI ha facoltà di svolgere quest’ordine del giorno.
BUSONI. Onorevole Presidente, onorevoli, colleghi, signor Ministro, l’ordine del giorno che ho presentato e che mi accingo brevemente te ad illustrare risponde ad un dovere di coscienza e ad una promessa fatta ai lavoratori della pomice di Lipari. Imparai a ‘conoscerli quando nel lontano 1927 fui a Lipari per la prima volta trascinatovi per forza, trasferito dall’isola di Tremiti dagli esecutori di ordini del governo fascista, che ivi mi tenne 30 mesi confinato.
Poi sono tornato, più volte tra quella popolazione… per amore. Per amore della sua isola ospitale e pittoresca, generosa e densa di folklore che, malgrado le tante difficoltà causate dalla lunga incuria, anche per iniziativa della Regione si tenta ora di rendere turisticamente accogliente; e ci sono periodicamente tornato anche in ragione dei vincoli familiari che, poi vi contrassi. È una popolazione povera, in gran parte disoccupata. Nonostante, che nell’isola vi siano, come è noto, le uniche cave di pomice del mondo, la deficiente e mal organizzata industria pomicifera offre lavoro soltanto ad una percentuale limitata della popolazione, che poi, al di fuori di una relativa attività nell’agricoltura e nella pesca, non ha altre possibilità nè altre prospettive. Anche di ciò hanno sempre approfittato i concessionari delle cave per imporre basse paghe, per risparmiare gli assegni familiari, i contributi alla Cassa malattie, alla Cassa invalidità e vecchiaia, ecc.
La pomice di Lipari, come è noto, contiene il 74 per cento di silice: quindi è una pomice pericolosa e corrosiva, è facile a far presa su organismi non sufficientemente robusti, anche a causa di scarso nutrimento, conseguenza della diffusa miseria. Il dottor Giuseppe Di Perri, che in Canneto di Lipari esercita da oltre 45 anni la sua professione medica, in un suo opuscolo, che costituisce una drammatica testimonianza, precisa, come io stesso ho potuto a più riprese constatare che la maggior parte di quei lavoratori la mattina parte da casa e si porta due filoni di pane e 4 a 5 pomodori o albicocche, oppure, a seconda delle stagioni, un cetriolo o un grappolo d’uva; i più fortunati, quando possono, concedersi questo lusso, comprano 50 grammi di mortadella o di formaggio e con tale provvista fanno due pasti. La sera a casa mangiano uno o due piatti di minestra; rare volte bevono vino, rarissime volte mangiano carne, semmai un po’ di pesce a buon mercato. In conseguenza, la maggior parte dei bambini sono macilenti, linfatici, mal nutriti e mal vestiti. « Non è un luogo di lavoro, precisa il Di Perri, è un penitenziario”. Del resto in molte località della Sicilia le condizioni anche dei minatori zolfiferi, non sono molto diverse, forse sono anche peggiori.
L’onorevole Angelini parlava poco fa della sua recente esperienza tra essi. Io fin dal 1946 ho visto nel fondo della miniera Trabonella lavorare nella ultima, galleria senza areazione, nudi, ruscellanti di sudore, spingendo col petto i vagoncini pieni di minerale, disgraziati, che poi, nell’ora di riposo, come corroborante cibo, ho visto mangiare alcuni pane e cipolla, alcuni addirittura soltanto pane. In un servizio giornalistico, tanto ero rimasto colpito da tali condizioni di vita e di lavoro, in mezzo al sentore e al colore dello zolfo, ebbi allora a definirli «i forzati del diavolo ».
Erano alloggiati durante la settimana in costruzioni, che, erano specie di capanne in muratura senza pavimentazione, senza finestre, dormivano su tavolacci di legno con sopra erba secca, in antri bui, affumicati, neri dalla fuliggine dei paioli in cui cuocevano della verdura, condita soltanto di saIe. Su uno di questi giacigli trovai un operaio febbricitante coperto di coperte lacere e per sua ventura gli era stato procurato un po’ di olio, lusso di condimento. Anche per ciò si spiega la spinta alla fuga, all’emigrazione, il passaggio al nord di Italia o addirittura il passaggio all’estero. Infatti, anche dall’isola di Lipari, molti sono coloro che hanno finito per emigrare e che si sono recati in America ed in Australia. Vi sono parecchie famiglie che vivono quasi esclusivamente con le rimesse dei loro parenti che hanno dovuto abbandonare casa e terra.
Una stazione schermografica, finalmente istituita in Canneto di Lipari anni or sono per merito dell’Istituto nazionale infortuni, per rilevare le lesioni della silicosi polmonare nei lavoratori delle zone di Canneto e Acquacalda e nella popolazione, già nel primo anno di attività ebbe ad eseguire oltre 1.200 schermografie: Perchè anche nella popolazione? Il perchè lo spiega il dottor Di Perri:
«Questa di Lipari è una forma sostanzialmente diversa dalla silicosi che si riscontra in altre zone minerarie e dalla miner’s phatisis delle miniere del Transval. Male mi spiegherei che la pomice possa agire solamente e semplicemente per ragioni meccaniche. Non è da escludersi che, nella sua trasformazione in silice, solubile, la pomice liberi una sostanza tossica che agisca in loco e a distanza, intaccando e menomando la vitalità delle cellule cardiache, vascolari patiche e renali. E questo potrebbe anche avvenire con l’assorbimento attraverso la mucosa gastrica, perché l’operaio che lavora nei mulini la pomice non solo la respira, ma la mangia e le beve: la mangia col pane e beve con l’acqua, perché non gli è consentito che di dissetarsi con acqua che attinge dalle cisterne alimentate con acqua piovana raccolta sulle terrazze, sempre abbandonate provviste di polvere di pomice. Sul lavoro gli operai bevono una sospensione di polvere di pomice in acqua piovana”.
Ebbene, a seguito anche di queste condizioni ambientali, credo che tutti i mezzi preventivi dovrebbero essere ricercati e applicati con scrupolo e con rigore. Invece, almeno fino alla mia ultima visita all’isola, solo una lavorazione di pomice ho trovato provvista di aspiratore e a disdoro e vergogna nostra devo aggiungere che si trattava di una ditta tedesca installatasi a Lipari per la lavorazione della pomice. In tutte quelle italiane niente, e quasi niente affatto usate le maschere protettive.
Ebbene, io credo sia necessario e doveroso provvedere. Non so se tra le disposizioni che sono state prese recentemente dalla Regione nell’ambito delle sue competenze, ve ne siano che riguardano appunto la lavorazione della pomice a Lipari. So tuttavia che in una legge nazionale non devono mancare, e credo che occorra subito imporre obbligatoriamente gli aspiratori, come dico nel mio ordine del giorno, in tutte le lavorazioni di pomice, e che si debba poi fare in modo che la moderna ingegneria, che ha tante benemerenze in tutti i campi, trovi il sistema di continuare il lavoro di molitura ed essiccazione della pomice con tutte le necessarie garanzie per la salute di chi lavora.
Onorevoli colleghi, il dottor Di Perri non è un appartenete a partiti di sinistra, non è di nostra parte ma, ad epigrafe del suo opuscolo sulla silicosi di Lipari, ha posto questi versi del più grande poeta civile dell’Italia moderna:
“”Dai monti al mar la bianca turba eletta, in sulle tombe guarda attende e sta. Riposeranno il dì della vendetta, della giustizia e della libertà”. Perché? “Perché dice il dottor Di Perri io, che purtroppo in 45 anni di esercizio professionale ho visto morire tanta gente, posso affermare che la morte per silicosi è la morte che provoca le maggiori sofferenze, più tremenda ancora di quella per tumore”. E questo medico non di sinistra ma uomo ed umano, contro l’incuria degli industriali, a contatto con le sofferenze de la morte, arriva nel suo opuscolo a proporre un’industria modello di Stato capace di potere offrire tutte le garanzie al lavoro e agli operai.
In qualunque modo, onorevoli colleghi, signori del Governo, è necessario che la Repubblica, che attende ancora di divenire fondata sul lavoro, col suo Parlamento e con i suoi Governi operi in modo che “il dì della giustizia e della libertà” non abbia ad essere anche il giorno della vendetta. Confido perciò che non soltanto il mio ordine del giorno sia accolto, ma che si operi urgentemente per tradurre in azione pratica i rimedi che suggerisce. (Vivi applausi dalla sinistra).