di Massimo Ristuccia
UNA ESCURSIONE ALLE ISOLE EOLIE – Filippo Porena
Estratto da Natura ed Arte 1897-1898
Panarea e Stromboli
Retrocedendo a N. e ripassando avanti la costa orientale di Lipari, ci spingiamo a NE. Fino a Panaria o Panarea, che sembra l’antica Ichesia.
Essa è la principale d’un piccolo arcipleago a sé, di cui forman parte Basiluzzo, Dattilo, Lisca Bianca, Lisca Nera, lo sciame di scogli detto le Formiche, Bottaro, Panarelli e altri singoli frammenti. L’unica abitata da un qualche centinaio di agricoltori e pescatori è appunto Panaria. E’ tutto un ammasso di lava basaltina, con una fodera assai stracciata di tufi , che dal lato occidentale si precipita a picco, dall’orientale scende per tre larghi gradini, successivamente di 200, 100, 50 m. per terminare con breve dirupo nel mare. Il miglior approdo è Cala Junco al S., dove le forme prismatiche o cilindriche dei basalti appaiono più regolari e spiccate, pigmeo modello dell’Argine dè Giganti d’Irlanda. Si può abbordare anche nel lato orientale, dirimpetto al piccolo villaggio di S. Pietro o di Vallata. Quivi la lava è invece spezzata in enormi massi rettangolari, accatastati in disordine gli uni sugli altri, quasi rovina d’un muro iperciclopico, e del mezzo, di esse si sviluppano, contorcendosi, moltissimi ulivi, principal produzione del paese, che dà inoltre qualche po’ di biade e di vino. Sul fianco occidentale si attaccano degli altri ulivi, dè caprifichi e delle opunzie.
Come dicemmo, Panaria e il suo corteo si credono formati dallo sprofondamento di un’isola maggiore, di cui resterebbero fuori quai capisaldi; ma i moderni geologi vi riconoscono un complicato intreccio di più crateri, e noi non possiamo, senza uscir dai limiti della Geografia descrittiva, entrare nelle loro sagaci disquisizioni. L’area n’è di 2,44 ch. Q. e il suo culmine di 410 m.
Proseguendo nella stessa direzione, s’incontra Stromboli, l’antica Strongylon, dalla sua forma rotondeggiante, sentinella avanzata dell’arcipelago verso NE.; non possian dire sentinella morta, perché è invece la più viva di tutte; e anzi il suo cratere, per continuità , è il più attivo d’Europa. La forma dell’isola è la più semplice; è tutta un cono vulcanico, di lava basaltina, per la maggior parte allo scoperto, ma in qualche tratto rattoppata da pezze di tufi e, in qualch’altro, impiastricciata da placche di scorie . La parte superiore ha la figura di un bocciolo rotto, con frastagliature aguzze e taglienti, che è appunto il cratere originario e generativo del vulcano, ora spento. Quello in attività è un cratere secondario, apertosi lateralmente a NO., all’altezza di 750 m., mentre gli orli del primo levano le loro punte a 926 e 918 m. La singolarità delle sue eruzioni ha fatto si che esse abbiano dato il nome comune a una frase speciale de’ vulcani, detta appunto stromboliana. Le eruzioni sono discontinue, con regolarità ritmica dei 26’ ai 30’. Precede un rumore come di assi travolti, cui succede un sibilo analogo a quello d’una caldaia a vapore che si scarichi. In cinque minuti il cratere s’ingombra di fumo.
Può presenziarsi il fenomeno dall’orlo, con risultato e senza pericolo, solo quando spirano venti del quarto quadrante, i quali sgombrino il cratere dal fumo e lascino vedere la direzione de’ materiali eruttati. In tal favorevole caso si scorgono le fessure del fondo e delle pareti illuminarsi, e quindi filtrarne materie fuse e incandescenti che si riuniscono in una gran bolla, la quale, salendo, si avvicina all’orlo senza però traboccare, finchè improvvisamente si squarcia, si sgonfia, scompare per le stesse fessure, e nello scoppio lancia frustoli di lava, arrotondati in bombe o contorti in scorie, insieme a sassi, lapilli e ceneri, di cui però la maggior quantità ricade entro al cratere stesso. Se gli antichi avesser conosciuto l’uso del tabacco, certamente avrebbero identificato il cono di Stromboli col fornello di una pipa titanica, fumata da Vulcano in persona o da qualcuno de’ suoi monoculi magnani. Invece, non sapendo a che altro riferire le boccate intermittenti, vi riconobbero la canna del camino che cacciava periodicamente le sue enormi faville in cadenza col mantice della ciclopica fucina.
L’area complessiva dell’isola e di 12,62 ch.q.
All’ultime falde, e quindi ne’ suoi contorni, si adagiano parecchi villaggi il più notevole dei quali è S. Vincenzo, al NR., davanti al quale è la rada più frequentata dell’isola. La coltivazione è volta quasi esclusivamente alla vigna e alle ortaglie. Lungo le vie, le quali altro non sono che letti di torrenti, crescono faggi e pruni; più in alto ciuffi di vimini, ginestre felci, spesso ombreggiate da grossi caprifichi