(Ansa) Dopo i droni aerei, arrivano anche quelli archeo-subacquei. Dotati di sensori con telecamere e sonar, possono scoprire nuovi siti archeologici, documentare quelli già noti e sostituire l’uomo quando l’esplorazione subacquea è troppo pericolosa. Come quelli realizzati dall’università di Firenze, già ‘prenotati’ per diverse missioni, e la cui attività è stata presentata a Milano a Dronitaly al convegno ‘Droni marini: regolamentazione e opportunità di impiego’.
”Abbiamo sviluppato tre veicoli operativi dotati di sensori, che stiamo impiegando su diversi fronti”, fa sapere Benedetto Allotta, docente di Meccanica applicata alle macchine dell’ateneo fiorentino. Prima dell’estate, per due settimane i ricercatori toscani hanno lavorato in Sicilia con i droni subacquei vicino l’isola di Levanzo, ”area ricca di reperti archeologici, dove però le correnti rendono piuttosto pericoloso il lavoro dei subacquei, mentre a fine ottobre faremo dei test in Toscana nel Golfo di Baratti alla ricerca di relitti di navi sotto la sabbia”, aggiunge Allotta. E ci sono già archeologi spagnoli che hanno chiesto di poterli impiegare alle isole Baleari.
Con i droni subacquei è possibile sostituire l’uomo quando le condizioni sono troppo pericolose, fare ricostruzioni in 3D utili agli archeologi per capire com’è il sito, o mosaici bidimensionali per lo studio dei fondali marini. Si possono usare anche in biologia per monitorare la fauna marittima di una riserva, o in geologia, ”per controllare ad esempio la pendenza di una colata di lava in mare, che come accade nell’isola di Stromboli può provocare dei mini-tsunami. Insomma, l’utilizzo di questi apparecchi è limitato solo dalla fantasia”. E con il 70% della superficie terrestre ricoperto dalle acque, la maggior parte delle quali inesplorata, e ben 8.000 chilometri di costa solo in Italia, le applicazioni possono essere numerosissime, dal controllo di porti e piattaforme in mare alla vigilanza sulle condizioni delle acque e la ricerca di naufraghi.