A cura di Massimo Ristuccia
MONDO SOMMERSO OTTOBRE 1959
Quattro giorni alle Eolie di Marco Cesarini Sforza. 1 parte.
SALINA. Le due cernie gemelle brucavano tranquille a venti metri di profondità. Le vedevo benissimo: sembrava che bastasse allungare una mano per toccarle. Sui quindici chili ciascuna. Erano nere e solenni; sembravano due maialotti al pascolo. Non potevamo far niente per prenderle. Ero in gita sulla Secca del Capo, con due volantini buoni per le alere e i pesci-topo. Più tardi ricostruii la storia di questa zona. Sono esattamente sei anni che le acque della Secca sono vergini di cacciatori subacquei. Ci andarono, nella primavera del 1953, due ragazzi di Vulcano. La Secca è facile da trovare. E’ un cono vulcanico sommerso, con la cima ad otto metri dal pelo dell’acqua, quattro miglia esatte a Nord-Est della Punta Capo Faro dell’isola di Salina. Il fondale scende rapidamente con successivi gradini a otto, venti, cinquantacinque e cento metri. Uno dei ragazzi aveva quindici anni e un fucile francese ad elastico. Si immerse e si attaccò al cono terminale per vedere che cosa sbucava dall’altra parte. Venne fuori una corvina e la prese. Si immerse di nuovo e non aveva fatto a tempo ad aggrapparsi alla roccia, che vide una bugila più grande di lui, con le immense ali violacee e due spine sulla coda. Le bugile, in italiano, si chiamano trigoni o pastinache, vivono sulla sabbia e soltanto a primavera inoltrata si avvicinano alle coste rocciose per sgravarsi. Il ragazzo prese paura e riemerse come un tappo di sughero. E da quel giorno nessun subacqueo è andato a cacciare alla Secca.
Le Eolie non sono più come ai tempi in cui Roberto Rossellini si immergeva in due metri di acqua e riempiva di cernie la barchetta di Ingrid Bergman. II Club dei Pescatori a Rinella è stato trasformato in albergo. Vaste zone di Panarea, Vulcano e Stromboli sono ormai spopolate. Ciò nonostante, una stagione di caccia alle Eolie può fornire ancora grandissime soddisfazioni. Detto tutto i l male possibile dei «bombardieri» locali e dei turisti che sparano ai tordi di 150 grammi, resta il fatto che le Eolie rappresentano ancora una delle zone relativamente più ricche tra quelle accessibili al medio cacciatore italiano…
Questo itinerario subacqueo delle Eolie sarà diviso in due parti. Tratteremo prima le isole di Vulcano, Lipari, Salina e Panarea, quindi le altre. La speranza è che questo modesto contributo alla conoscenza dei nostri mari vada nelle mani di gente realmente interessata allo sport, e cioè, in pratica, che sia utile al medio cacciatore: colui che non si contenta delle piccole immersioni con un fucile «mignon», ma che, al tempo stesso, non ha ancora industrializzato e per così dire «automatizzato » la gioia della caccia.
Conviene far base all’isola di Salina e precisamente nel suo capoluogo di Santa Marina o nella frazione di Rinella. Da Salina, tutte le zone maggiormente pescose sono a portata di mano. Un canale di quattro miglia porta alla costa occidentali di Lipari, l’unica dell’isola che presenti ancora interesse; Panarea è raggiungibile in circa due ore con motori che facciano dai sei agli otto nodi; Filicudi e Alicudi giacciono immediatamente ad Ovest. Salina occupa in definitiva una posizione centrale nell’arcipelago, oltre che costituire essa stessa una delle zone migliori sia di allenamento che di grande caccia.
La situazione meno confortevole tra quelle in esame è certamente quella di Vulcano. L’isola è un pezzo di luna caduta dal cielo, un ammasso di lava raffreddata, di fumarole e polle solfuree, di acque calde sottomarine. E’ inutile perdere tempo sui fondali della costa nord-orientale, tra Punta Luccia e Punta Bandiera. Da questo promontorio fino alla Punta dei Porci, facilmente riconoscibile dal faro, si susseguono fondali subito profondi dai trenta ai quaranta metri, praticamente quasi inesplorati.
Risalendo la costa di Sud-Ovest, fino a Testa Grossa e a Punta Monaco, si incontrano invece fondali più accessibili e notevolmente puliti. Si tratta di zone ben popolate fino a sette-otto anni fa ma oggi quasi completamente ripulite. Miglior sorte c’è da attendersi intorno a Vulcanello, il promontorio unito all’isola dallo istmo tra i due porti di levante e di ponente. Il fondale degrada dai due ai venti metri per circa un quarto di miglio, con andamento regolare: numerosi i tratti detritici, ma sull’orlo della fossa è ancora possibile far buona preda. La fauna è la solita, con prevalenza, quest’anno, di corvine isolate. Se ne sono viste fino a quattro chili di peso.
Quasi in continuazione diretta, attraverso le splendide Bocche di Vulcano, si passa alla costa sud-occidentale dell’isola di Lipari. In generale occorre tenere presente che tutte e sette le isole dell’arcipelago presentano un eguale andamento geologico. Deve essersi verificata, nella notte dei tempi, come una gigantesca spallata da Est verso Ovest, che ha sollevato le terre con una netta frattura verso ponente. Tutte le isole, in tal modo, presentano coste a picco e spesso altissime in direzione Ovest e Sud-Ovest: sono le zone deserte di paesi e di uomini, selvaggie e bellissime. I paesi stanno annidati dall’altra parte, dove le isole degradano più dolcemente fino al mare. E’ perfettamente inutile immergersi davanti a Lipari, a Vulcano, a Salina e a Panarea. Bisogna girare dietro le punte e i capi, guardare verso Filicudi e Alicudi.
Tutta la costa sud-occidentale di Lipari presenta uno splendido campo di lavoro. Si può cominciare da Punta Grotticelle e, attraverso Punta Palmeto, giungere fino allo scoglio detto dell’Imerata. Sono poco più di cinque miglia di mare. Qui, dalle pareti di roccia a picco che chiudono il fondo delle cale, spunta la testa cattiva della murena, con i suoi occhi di smeraldo. Qui, a primavera, navigano lente tra due acque le grandi buglie. Qui, a settembre, la cernia viene a riva e i cefali saettano come lampi di argento, dove l’onda rompe tra gli scogli.
La gente del luogo chiama con il nome di Tivoli il tratto di costa tra Punta Palmeto e lo spigolo nord-nordovest dell’isola. Il salto diritto della roccia sotto il livello del mare è oscillante tra i nove e i diciotto metri; nella mattinata, le condizioni di luce sono ideali fino alle ore nove. Nell’ombra della grande parete, il mare è illuminato da un riflesso indiretto che lo rende sempre trasparentissimo. Sotto il salto della roccia, il fondale è di sassi bianchi e puliti. Mi accorgo adesso di non conoscere il nome di quei pesciolini rossi che spesso segnalano le tane delle cernie II punto migliore per questa regina dei sub è intorno allo scoglio dell’Imerata, proprio sullo spigolo. Il fondale( è di quindici metri Il sarago si incontra volentieri poco più a sud, tra Punta Palmeto e la Pietra del Bagno, dove i fondali raramente superano gli otto metri. Con la sua bella macchia in coda e i l dorso bruno-dorato, lo si pesca in qualsiasi mese, ma specialmente in luglio. Alla stessa altezza viene i l cefalo. Velocità in acqua, fucile lungo e buona mira. Ci deve essere, qui sotto, un cimitero di fiocine sdentate, rotte e contorte dal colpo andato a vuoto sullo scoglio, quando i l cefalo guizza improvviso all’indietro. La specie più comune in queste acque è quella detta Calamita, col muso largo e depresso; spesso vanno in coppia, restando in branco fino a raggiungere la lunghezza di circa venti centimetri. Ci sono degli splendidi campioni isolati, col dorso coperto di cicatrici, reduci da infiniti, silenziosi e feroci duelli sottomarini. Un chilo, un chilo e mezzo: fino a quarantacinque centimetri di lunghezza. Tra le caccie in acque basse, è forse la più emozionante. Non ci si potrà vantare di prede valutabili in decine di chili, ma è sul cefalo che si misura la perizia del cacciatore.
La cernia sta più fuori. Qui vive normalmente sui 400- 500 metri di profondità e viene sotto costa abbastanza presto, di prima estate, per restarci fino a settembre inoltrato. Quella che si pesca normalmente alle Eolie è la cernia nera (scientifico: Serranus Cigas), di colore bruno giallastro più chiaro sul ventre e corpo molto marmorizzato di giallo. Torna tutti gli anni alla stessa tana per la riproduzione. La cerniola (scientifico: Polyprion Cernium) è più difficile da incontrare. La si riconosce facilmente per la cresta longitudinale che porta sopra gli occhi, a differenza della cernia che ha invece la fronte liscia. Il dorso è grigio bruno, spesso picchiettato di bianco o di giallo. Anche la pinna codale è quasi sempre biancastra o listata di bianco. Quest’anno è stata una stagione discreta. Con lenze di profondità, tra Salina e la costa sud-occidentale di Lipari, nei quindici giorni tra i l primo del mese e Ferragosto, ne sono state pescate quattro superiori ai venti- chili e una decina intorno ai quindici. Nessuna grossissima preda col fucile (la maggiore è ancora quella dell’agosto 1956: quasi quaranta chili, arpionata da quattro sub milanesi presso lo scoglio di Filicudi detto la Canna). I sub hanno preso a Salina due cernie superiori ai dodici chili, una cerniola di circa venti e una quindicina di esemplari oltre i cinque. Sotto Tivoli è uscita una cernia di diciotto chili e una decina intorno ai cinque.
Prima di abbandonare Lipari, fermiamoci a dare un occhiata a Punta Castagna, dove il mare è quasi sempre bianco per la polvere di pomice che scende dalle vicine cave di Canneto e dai vapori sotto carico. Purtroppo la zona è fortemente battuta dai «bombardieri», che qui possono procurarsi facilmente l’esplosivo grazie appunto ai lavori in galleria delle cave. Abbiamo visto il fondale di Punta Castagna, fino a qualche anno fa uno dei migliori delle Eolie, cosparso di cefali, occhiate, saraghi, spappolati dalle bombe sottomarine. E’ una dannazione. stagna. Occorre essere sul posto alle prime luci del giorno: meglio ancora sul tramonto. Dopo uno zoccolo di cinque-otto metri di profondità, che si estende per un centinaio di metri dalla costa, il fondale comincia ad abbassarsi lentamente fino ai cinquanta. La zona è ristretta (200 metri di estensione sulla parte nord della punta, meno di cento sulla parete sud); ma ottima come campo di allenamento progressivo. C’è caccia per tutti, dai principianti ai campioni.
Passiamo all’isola di Salina. Anche qui ci occuperemo cominciare il giro della cosiddetta Grottazza, un modesto speco che si apre al vertice meridionale del triangolo formato dall’isola. Sassi puliti a riva, per circa cinquanta metri verso i l largo, con profondità tra i due e i dodici metri. Poi una cornice di roccia lavica, poi il salto su fondali in parte sabbiosi in parte detritici ed erbosi tra i trenta e i cinquanta metri. Su questo fondale, scogli isolati e «piane» coi vertici sui diciotto-venti metri e anche meno. Tali caratteristiche si riproducono attraverso tre larghe insenature fino alla banchina di Rinella, per circa due miglia, interrotte da pochi tratti coperti da vegetazione e da una piccola punta più pronunciata delle altre, formante uno specchio di acqua relativamente bassa dove si incontrano cefali grossi almeno come quelli di Lipari.
La caccia migliore si fa in metri, l’altra più fuori, fino alle rocce che orlano la fossa e agli scogli isolati. Sul salto non è rara la corvina (che qui si chiama la aloca). E’ una caccia piuttosto facile e non priva di soddisfazioni. Non è raro un pesce di tre-quattro chili. Questo tratto di costa è anzi i l più consigliabile a chi giunga in zona privo di allenamento e per chi si contenti di immersioni prive di respiratore. C’è varietà di pesce, gusto della ricerca specializzata nei vari tratti, possibilità di incontri fuori della mediocrità. Sono venute fuori, da questa costa felice, cernie superiori ai dieci chili: si spara al cefalo, al sarago, alla corvina, alla murena, al polpo (fino ai due-tre chili).
Dopo Rinella le cose cambiano. Si susseguono ancora tre grandi insenature la cui ultima e maggiore si chiama Val di Spina. Fondali bassi e molto coperti. Buoni per allenamento al tiro i banchi di sabbia (triglie) che seguono ai fondali descritti, con profondità tra i dodici e i quindici. Più a terra è i l regno dei tordi. Ma ci avviciniamo ad una zona migliore.
Forse il punto più interessante di tutti quelli che oggi abbiamo in programma è la zona dell’isola di Salina detta Pollara. Si estende da Punta Val di Spina a Punta Perciato, in direzione Nord-Nord-Est, per circa un miglio e mezzo. La costa è tagliata netta come da un gigantesco coltello e al suo termine presenta una caletta dotata di un arco naturale: a duecento metri dalla riva, sullo spigolo dell’isola, un faraglione senza nome, con intorno un fondale di sedici metri, ottimo.
Anche qui, dalla sabbia del largo, vengono a tiro le grandi buglie dalla spina che squarcia e brucia, il «Bugghiu Niru» lungo due metri e pesante un quintale. Dai fondali di roccia tra i 400 e i mille metri che pavimentano il canale di Filicudi, vengono le cernie corazzate come carri armati. Hanno le loro tane estive tutto intorno all’arco naturale. Il limite utile è su un orlo roccioso tra i venti e i trentotto metri. Qui si son fatte le prede più belle di tutte le Eolie: ci venivano i più celebri sub locali, quello di Vulcano che adesso fa l’albergatore e suona la chitarra per le turiste francesi. Liberatore Giuffrè. sindaco di Santa Marina, don Gianni, ex parroco di Panarea, celebre fino in Danimarca.
La cernia sta laggiù, tra agosto e ottobre, mentre igiovani scorfani rossi si appiattiscono tra gli scogli anche, in attesa della loro trasmigrazione verso i l largo, mentre la murena «monaca» già parte per le acque alte, quando i l grongo esce ormai soltanto di notte e persino 10 squadro (forma di transizione tra gli squali e le razze – N.d.r.) si fa vivo. Quest’anno ne è stato preso uno, 11 7 agosto. Una squadra di sub locali ha lavorato sei ore per portarlo fuori da un pezzo arenoso fuori Pollara. Pesava ottantadue chili.
A Pollara sta i l banco di prova del cacciatore delle Eolie, in attesa che qualcuno si decida a rompere la verginità della Secca del Capo. E, forse, in attesa che qualcuno arrivi a ritrovare, finalmente, l’altra mitica secca di cui tutti parlano: laggiù, ad occidente di Alicudi, verso la lontana Ustica. C’è una storia. Ci andavano due o tre volte all’anno i pescatori di Lingua, che sono forse i migliori dell’arcipelago. Cose di due generazioni fa. Andavano a remi, viaggiavano orientandosi con le stelle e con il sole: partivano al tramonto e all’alba del secondo giorno, dopo trentasei ore di voga, erano sulla Secca. Una volta, l’ultima, uscirono in sei barche. Ci furono nove giorni di mare e di cielo coperto: forse persero l’orientamento. Nessuno tornò indietro. Ora non c’è nessuno che sappia con esattezza dove è la secca perduta: le carte nautiche non la segnano, è fuori da tutte le rotte.
Resta da ispezionare Panarea. A Salina, dopo Pollara, si può risalire verso Nord fino a l ‘ approdo di Malfa e alle roccie di Punta Capo Fa o . Le caratteristiche del fondale sono analoghe a quelle già descritte per il tratto Grottazza – Rinella , ma con maggio r i tratti coperti di verde e minori possibilità di buon lavoro . Ci si può allenare con i saraghi, numerosi nella zona forse più che altrove. Fanno la spola soprattutto tra le acque basse sotto la punta del faro e quelle più alte della insenatura di M a l f a.
A Panarea si potrà percorrer tutto l’arco di Nord -Ovest che va dalla Cala Milazzese fin o a Punta Scritta e Punta Palisi . La costa è stupenda. Il fondale, sotto il salto dritto della roccia assai simile a quello di Tivoli, degrada bene dagli otto ai venti metri, poi c’è un altro gradino fino ai trenta – trentacinque , poi ancora un terzo salto. Questo andamento è del tutto regolare fino al faraglione, poi si rompe in profondi anfratti e vallate sottomarine.
C’è la cernia. Buone possibilità anche per la caccia notturna, specialmente al grongo. Caccia notturna, solitamente, all ‘ Eolie se ne fa poca. Le zone migliori sono Vulcanello , Panarea e le tane all’Imerata.
Ultima ispezione, quella alle isole minori che fanno corona a Panarea. Un bel fondale pulito si estende in forma di trapezio per la lunghezza di circa un quarto di miglio sotto lo scoglio di Dattilo : profondità otto metri, zona assai battuta dai turisti. I Panarelli, Dattilo , la Lisca Bianca e la Lisca Nera sono però collegate tra loro da un successivo gradino di forse sedici m e t r i di profondità, più libero per gli sportmen. Inutile perdere tempo con una gita alle Formicole se non si è molto dotati : oltre una piccola base fra i 15 e i 20 metri scende a strapiombo fino ai settanta e ai novanta metri e la roccia è compatta come una piastra di metallo.