Siamo passati davanti Canneto che dorme ancora, bianca e allungata sulla riva, mentre il mare le si muove contro piano piano con il pudore di una prima carezza…
I due della pesca sono intenti ad armare le lenze, e a noi il bagliore accecante della montagna mozza il respiro. Sotto, l’acqua del mare è opaca: uno smalto turchese.
Sessant’anni, e l’hanno appena scalfita. I muri delle fabbriche prendono vita dalle occhiaie scure delle finestre: ma anche esse sono ostili come tutta la montagna.
Guardate i cristiani, sunnu dda. – Il ragazzo ci indica delle esili file di formiche che si muovono smarrite in quel candore.
Lì scavano la pomice? – chiede Rosi.
Sissignura, stanno sempre là: hanno i trapani, li picconi, ma poi la pietra la respirano tutta. Io non ci lavoro là, ma faccio pieni i sacchi, che vanno poi spediti…
Papà mia è stato alla cave e poi è morto: che chi scava là si fa la pancia piena di pietra e muore presto, al massimo dopo quindici anni. Ma la mamma mia non vuole.
Ma perché non portate un riparo, una maschera…
E che vuoi avare, signura, una maschera?
La pomice ha invaso il fondo del mare, e galleggia allegra, disegnando larghi smerli bianchi che si perdono lontano, e come un fumo bianco sporca lo smalto del cielo.
Sulla montagna che ci incombe braccia minuscole e ostinate si accaniscono contro l’indifferente immensità della materia: qua e là dove si aggrumano tanti puntini grigi, si alza una nuvola più densa di polvere. Ai piedi del monte esili pontili di ferro si lanciano nel mare verso di noi, e all’estremità di alcuni stanno fermi battelli rustici……….
Guarda come scendono veloci! – dice Rosi.
E il ragazzo ci spiega che si appoggiano a un bastone lungo e si lasciano scivolare su quella schiuma vulcanica con la perizia di antichi Vichinghi…..
Ci portiamo più sotto: scatto qualche fotografia, ma il colosso bianco ci stordisce. Sembra come un incubo che perseguita nel sogno. La polvere bianca ha invaso l’aria, il mare, gli uomini, e pesa come una cappa di piombo.
Ci salviamo fra una corona di rocce sanguigne, poco discosta dalle cave: ma alzando gli occhi vediamo la fumata bianca che incombe.
In attesa che il motoscafo torni da Salina ci rifugiamo in acqua, e con le maschere e le pinne, sotto acqua.
Sotto il tutto riprende la trasparenza e il rilievo di sempre, l’ombra è di nuovo cupa e amica, l’atmosfera impalpabile e buona.