L’album dei ricordi: ” Avere fatto il militare a Udine ” di Ezio Roncaglia

militare a udine

A cura di Massimo Ristuccia

“Aver fatto il militare a Udine…” è una espressione che va ben oltre la battuta. Come spiega Ezio Roncaglia, nasce dal tentativo, durante il periodo fascista, di integrare sotto il profilo sociale e linguistico i ragazzi del sud mandandoli a fare il militare al nord, ad Udine nello specifico, come verrà riportato. Si riporta un breve testo tratto da:

Da RAI CULTURA Italiano

1861: fatta l`Italia, bisogna fare l`italiano

Quando l’Italia era già unita gli italiani non avevano ancora un’unica lingua, ha detto Fela oggi. È vero. Purtroppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli italiani. Fra il 1861 e il 1914 (l’anno dell’inizio della prima guerra mondiale) le cose sono cambiate, anche se molto lentamente. Si è diffusa la scuola, e con la scuola si è diffuso anche l’insegnamento della lingua nazionale; migliaia di ragazzi si sono spostati dal nord al sud e dal sud al nord per fare il servizio militare: per comunicare con gli altri soldati non potevano usare il dialetto della loro zona, dovevano usare l’italiano. Inoltre, nello stesso periodo, molti italiani del sud si sono trasferiti nelle città del nord, più ricche e industrializzate.

Avere fatto il militare a Udine

di Ezio Roncaglia

Ho un ricordo preciso della prima volta che udii questa espressione.

Era l’inverno 1940-41 ed io studiavo a Messina (Ist. Tecnico A.M. Jaci) dove abitavo in pensione presso la Famiglia Mobilia (oriundi).-

Avevo appena compiuto 11 anni ed ero molto attento a quello che avveniva intorno : non si dimentichi che la mia generazione (e parecchie precedenti) sono cresciute con un diffuso complesso di inferiorità nei confronti dei …. cittadini.-

Non c’era la televisione, la radio era quasi un oggetto misterioso, … e già bastava essere meridionali : se si aggiunge la nostra esasperata insularità, è facile comprenderne il disagio.-

Va ricordato (e non mi pare mai abbastanza sottolineato) che i n quegli anni l’insularità era, nella realtà, uno stato di permanente, consolidato e supinamente accettato isolamento.

La casa della famiglia Mobilia era situata nella parte alta della via Palermo, quasi alle falde (allora) dei colli San Rizzo, in zona toponomasticamente chiamata “ Ritiro “, poco sopra il quartiere “ Cuore di Gesù “, gruppo rionale fascista “ Ugo Pepe “, a pochi metri dall’allora manicomio.-

La casa era decente, dignitosa, in linea con lo standard dell’epoca : era a piano terra, ma situata su un piccolo terrapieno che la equiparava ad un primo piano.- Aveva sul davanti, per due terzi della superficie, una terrazza ben soleggiata perché esposta ad est .- Sul lato nord, a quota più bassa, aveva pure un piccolo terreno con un grande, immenso fico.

Vivevano, ad alcune diecine di metri da noi, dei parenti dei sigg. Mobilia, che erano visibilmente e forse ostentatamente più agiati : avevano una bella villetta con giardino e pergolato, servita da un elegante viale sulla via Palermo, chiuso da un cancello su cui spiccava una targa in marmo bianco “ Villa Delizia “.

I rapporti con questi parenti ricchi erano buoni, abbastanza sciolti e cordiali,-

Nella famiglia di questi parenti, c’erano due ragazzoni gemelli, entrambi universitari, militanti imbottiti dalla propaganda fascista. –

Partirono entrambi volontari per la guerra …

Si chiamavano uno Aurelio e l’altro Massimo.

La frequentazione con questi giovanotti era abbastanza intensa ed io li trovavo simpaticissimi, li guardavo con grande ammirazione, senza riserve.

In un grigio pomeriggio di inverno, vennero a trovarci altri parenti (o solo conoscenti ?) dei sigg. Mobilia : tra di essi c’era un giovanottone circa-trentenne che – senza nessun garbo, anzi in maniera accalorata e troppo esplicita per l’epoca – – usò espressioni molto critiche nei confronti della guerra, dei tedeschi, dei bombardamenti che già varie città italiane avevano subito (Messina non ancora) ecc.-

Una signora anziana (che poteva essere la madre) disse che lui aveva già fatto il militare circa 10 anni prima e che adesso rischiava di essere richiamato sotto le armi….

Qualche giorno dopo, quasi casualmente, e senza nessuna cattiveria (credo) la conversazione venne riferita a Massimo ed Aurelio.-

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Uno dei due, ridacchiando, la commentò con l’espressione …. “ …. ma Ignazio è un ignorante ed è sempre stato un cretino, … è uno di quelli che ha fatto il militare ad Udine “.-

La battura mi piacque e, ovviamente, nel mio archivio di bambino, venne registrata con significato dispregiativo, quasi di scherno, riferito ad una persona limitata, ignorante, quasi stupida, o che dice cose stupide.-

Qualche tempo dopo (eravamo in piena estate) un giovanotto di Canneto che prestava servizio militare (la leva allora durava mi pare più di due anni) … venne in licenza : e si rese ridicolo agli occhi di tutti perché sembrava aver dimenticato il dialetto,… che era la sola lingua che aveva parlato fino ad allora.

Parlava solo in italiano, … sfoggiava un marcatissimo accento settentrionale ed ostentava delle improbabili e spesso spropositate “ esse dolci “, rispondendo in stretto italiano a chi gli parlava in stretto dialetto !

Anche in quell’occasione, colsi la divertita battuta di un signore (che non era un indigeno, veniva credo dal palermitano, viveva qui con famiglia, dipendente da tanti anni dell’allora Cassa di Risparmio V.E.) che, quasi con commiserazione, chiosò …. “ questo è uno che ha fatto il militare ad Udine … “.

Si confermò vieppiù la mia idea che si trattasse di una espressione rigorosamente meridionale, che stava ad indicare uno sciocco (meridionale) che si dava delle arie o con parole o con atteggiamenti… imitando ed ostentando l’accento settentrionale, …. per quell’atavico complesso di inferiorità che storicamente, almeno in quel tempo, affliggeva i terroni.

Questa mia persuasione durò parecchi anni, probabilmente 6 o 7, e venne anche confermata in altre occasioni.

Di una ho un ricordo preciso :

  • il Segretario storico del Comune di Lipari, Rag. Peppino Profilio, (persona di grande esperienza, intelligente ed arguta, dalla battuta pronta e mai banale, autentico ed indimenticabile “ personaggio “) ad un tizio uscito dal suo ufficio senza salutare e quasi sbattendo la porta, perché gli aveva chiesto invano qualcosa di inconcedibile, …. mormorò sconsolato, guardando noi presenti …. “ che ci possiamo fare ? questo è uno di quelli che ha fatto il militare ad Udine … “ .-

La mia certezza sulla sua “ meridionalità “ andò in crisi quando scoprii che, …invece, la stessa espressione era usata e radicata nel settentrione, almeno in quello di nord-ovest.

I miei genitori erano piemontesi, entrambi pinerolesi.

Negli anni dell’immediato dopoguerra, quando non avevo ancora 17 anni, cominciai a trascorrere presso i miei parenti piemontesi svariate settimane di vacanza ogni estate.

E scoprii, con sorpresa, che anche in quella zona, veniva usata l’espressione ……. “” uno che ha fatto il militare ad Udine … “” per indicare qualcuno che si atteggiava, che voleva apparire, che si dava delle arie, che faceva il saputello.

Una volta udii una mia cugina – poco più grande di me – che parlando di una signora palesemente antipatica, diceva : …. “” peccato che sia femmina, altrimenti avrei detto che ha fatto il militare ad Udine … “”.-

Aggiustai così, in parte, la mia convinzione sulla meridionalità della definizione, nel senso che pensai trattarsi di una diagnosi di pochezza, di stupidità, di velleitarismo, in uso un po’ dappertutto, indipendentemente dalla latitudine.

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Circa 15 anni dopo, probabilmente qualcuno di più, trovai casualmente una spiegazione che ha tutta l’aria di essere “ la “ spiegazione, ossia quella ….. autentica.-

Verso la fine degli anni ’60 conobbi e frequentai per alcuni anni il dott. Michele Palmieri, ex direttore centrale della Banca del Sud di Messina, pensionato abbastanza giovane, forse a 55 anni.-

Personaggio gagliardamente “ ammanigliato “ presso l’IRFIS – Istituto Regionale per il Finanziamento delle Industrie in Sicilia – una branca tutta sicula della Cassa per il Mezzogiorno, cui partecipava il Banco di Sicilia e la Cassa di Risparmio V.E. – che lo imponeva alla presidenza del Collegio Sindacale in tutte (o quasi) le aziende del messinese finanziate dall’Irfis.-

Tra aziende piccole e meno piccole, credo di non esagerare pensando che presiedesse i Collegi ad almeno un centinaio di unità : una rendita veramente corposa e tranquilla.

Il dott. Palmieri era un personaggio interessantissimo : alto, massiccio, aveva il fisico del giocatore di rugby, curatissimo nella persona, conservava una folta chioma di capelli bianchi ed ondulati.- Estroso e coraggioso nell’abbigliamento, usava cravatte di colori “ decisi “ che abbinava a camicie candide su gilet a quadretti … .-

Era di origine e con marcato accento napoletano.

Aveva il fascino inconfondibile ed inimitabile dei napoletani colti che sanno parlare e che amano farsi ascoltare. –

Ed … ascoltarsi.

Il Dott. Palmieri aveva fatto il militare di leva in ritardo, perché allora la frequenza universitaria consentiva di rinviarlo fino alla laurea : subito dopo la laurea, si era sottoposto agli obblighi di leva.

E lo aveva fatto … ad Udine.

E, in quel di Udine, aveva fatto l’insegnante in una grande ex caserma degli alpini, trasformata in scuola.-

Qui confluiva da tutt’Italia, (quindi NON solamente dal meridione) una selezione di giovani reclute … dichiaratamente e rigorosamente analfabete !

Quale fosse il criterio di selezione non è dato sapere, ma certamente non era casuale : così come non era casuale la composizione delle classi, che raggiungevano e superavano le 40 unità, proporzionalmente assortite nella provenienza dal sud, dal centro e dal nord.

Il dott. Palmieri, alla fine degli anni ’60 era palesemente (ed … ovviamente) democristiano , ma denunciava se non proprio delle “ nostalgie “ … almeno un … “ ragionato apprezzamento criticamente positivo “ verso le … “ non poche “ cose buone che il regime fascista aveva fatto in Italia.

E, secondo Lui, la caserma-scuola di Udine era una di queste.

Secondo il dott. Palmieri, i fini perseguiti erano tre.

Il primo : l’alfabetizzazione.

La caserma conteneva almeno una dozzina di classi, forse qualcuna di più, di almeno 40 allievi cadauna.-

Il corso durava circa 4 mesi e sottoponeva i militari ad uno sforzo importante perché occupava sia il mattino che il pomeriggio.

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Al termine del quadrimestre, i militari, che erano entrati analfabeti, uscivano sapendo leggere, scrivere e contare.

Alla meno peggio, s’intende : ma sapevano sicuramente scrivere una lettera a casa, sapevano leggere un foglio d’ordine, … e sapevano far di conto.

Il secondo : l’integrazione.

I dirigenti fascisti si spendevano non poco nel tentativo di integrare al massimo ed al meglio il nord ed il sud d’ Italia : una integrazione che nei primi anni ’30 metteva a confronto persone che parlavano solo il dialetto ….

La composizione, sapientemente assortita delle classi, aiutava moltissimo questa integrazione, e non solo dal punto di vista della lingua.-

La distribuzione dei posti, in un grande refettorio con panche di una dozzina di posti, prevedeva e premiava la ricerca dell’assortimento in termini di provenienza geografica.

A scuola, durante la giornata, venivano assegnati compiti di facile e rapida soluzione.-

Il compito veniva assegnato a gruppi di 5/6 militari, rigorosamente assortiti nella provenienza regionale : lo svolgimento – per quanto semplice – li costringeva a parlare e capirsi e, inconsciamente, … a conoscersi.

Il terzo : l’indottrinamento.

I dirigenti fascisti curavano pesantemente il quotidiano “ indottrinamento “ di questi giovani che, rientrando nel tessuto sociale, familiare, lavorativo dell’intero territorio nazionale, avrebbero assicurato al regime diecine e diecine di migliaia di cellule politicamente sicure, durature e verosimilmente affidabili.

Sempre secondo l’intelligente (e, in certe fasi della narrazione, quasi appassionata) analisi del dott. Palmieri, c’è un altro punto che spiega sì la diffusione del … “ militare di Udine “ in tutto il paese, …. ma che ne chiarisce anche l’alone di negatività e la connotazione puntualmente ed indubbiamente dispregiativa.

Infatti, per ottenere il massimo risultato nei 4 mesi di durata della scuola, gli insegnanti erano stati istruiti a sollecitare le corde della vanità degli allievi, a solleticare e foraggiare al massimo la loro autostima, persuadendoli e facendoli sentire prima dei privilegiati nella scelta e

successivamente degli eletti, chiamati a svolgere un ruolo importante e di grande rinnovamento nella società, nella famiglia, nel lavoro ….-

Tutto questo veniva curato con grande intensità e – nella maggioranza dei casi – finiva per permeare i militari, che si caricavano a vicenda nei tempi della loro vita in comune, nelle ore di libera uscita, nei piccoli incarichi e compiti cui venivano destinati nelle successive sedi all’interno del servizio di leva, ecc. ecc. –

Ed è sicuramente comprensibile ed altrettanto condivisibile credere che, dopo il congedo, nella vita di tutti i giorni, continuassero a sentirsi … “ una spanna in più “ , ed a comportarsi di conseguenza.

Ed ecco perché, dalla Sicilia alla Campania, dal Piemonte alla Puglia o alla Calabria, l’espressione …. “ aver fatto il militare ad Udine … “ ha lo stesso significato, non propriamente edificante.-

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Peccato !

Perché l’idea, per onestà concettuale, prescindendo da chi l’aveva partorita, era innegabilmente buona, l’obiettivo era sicuramente nobile, … ed avrebbe meritato maggior riconoscimento.

Insomma, pur senza farsi permeare dalle Sue “ nostalgie “, … il dott. Palmieri non aveva sicuramente torto !