di Massimo Ristuccia
Con enorme piacere e gratitudine il sig. Ezio Roncaglia mi ha inviato dei suoi ricordi della Lipari, Canneto che fu; ricordi di persone, cose e tradizioni che voglio condividere. Ricordo del nostro passato, di questo liquore e della tradizione nell’isola di Lipari.
Parliamo di Rosolio.
I ragazzi di oggi, forse, non sanno neppure cosa sia il rosolio.
Eppure, fino ad almeno una cinquantina di anni orsono, dalle nostre parti, era un elemento importante non solo nelle occasioni, negli accadimenti come un matrimonio, un battesimo, una celebrazione lieta che metteva insieme più persone, … ma anche nel quotidiano, in quella che oggi si definirebbe, con termini, linguaggio ed espressione più “ assignurinata “ la cosiddetta … “ vita di relazione “ … delle famiglie.-
Era definito “ il liquore delle signore “.
Infatti, allora, una signora che beveva un bicchierino di rosolio era una cosa normale, anzi graziosa e gradevole, quasi elegante.
Va anche detto, a beneficio di una sommaria e parzialissima ricostruzione del contesto, che Whisky, Cognac, Brandy, Vodka, o erano semplicemente sconosciuti, … oppure considerati vizi da beoni, più o meno alcolizzati, da praticare non in privato ma addirittura in segreto
E con vergogna!
Il vino aveva una collocazione marcatamente mascolina, per cui un signore che bevesse qualche bicchiere di vino a tavola (attento, ho detto “ qualche “) era considerato assolutamente normale : ma aveva importanza fondamentale la moderazione, la misura.
E c’era una subdola complicità, indigena ed endogena, in questo dettaglio.
Infatti, il consumo di vino, da noi, era circoscritto e limitato, in termini di provenienza, alla produzione familiare, ossia una produzione rigorosamente ed esclusivamente locale.
Soltanto vino di Lipari, cioè, con qualche iniezione, forse, (qualitativamente di buon livello) di vino di Salina.
Ed è notorio come il vino indigeno – per l’aridità dei nostri terreni, per l’impietoso soleggiamento delle nostre vigne, per la tipologia delle nostre uve, per le vendemmie tradizionalmente tardive – si caratterizzava quasi sempre da una robusta gradazione alcoolica.
Ottimi vini, insomma … che non fanno sconti.
Le signore erano tradizionalmente escluse dal consumo di vino. Una signora che bevesse vino a tavole (figuriamoci … fuori tavola) era guardata con scarsa considerazione.
Vorrei aggiungere un particolare che considero significativo: c’era una ragione di fondo che vedeva le donne quasi stabilmente escluse dal consumo di vino.
Tutti sappiamo e ricordiamo, infatti, quanto i tassi di natalità delle nostre zone (ed in quei periodi) fossero gagliardi : le famiglie con 5 – 7 figli rappresentavano quasi la norma.
Per eccesso di pignoleria, voglio ancora ricordare (più che aggiungere) che a 5 o 7 figli, non corrispondevano altrettante gravidanze …. ma sempre qualcuna di più, perché la mortalità natale e quella infantile avevano tristi livelli corrispondenti e conseguenti all’ignoranza, all’analfabetismo, all’assenza di presidi…..a pratiche mediche che sconfinavano nell’esorcismo e nella superstizione.
Il tutto nella patetica impotenza di tanto sparuti quanto eroici medici condotti, costretti a combattere – ed a perdere – in desolante solitudine, contro le pratiche della nonna o della vicina di casa esperta … i beveroni di cipolla … le radici di prezzemolo, …
E poiché era tassativamente codificato che ingerire alcolici durante la gravidanza corrispondeva a causare danni irreversibili al cervello del nascituro …. ecco l’assenza, statisticamente e temporalmente imponente, di qualsiasi dialogo tra l’alcol e le donne.
Il rosolio, dunque.
Era stabilmente presente, praticamente insostituibile, nelle celebrazioni liete come matrimoni e battesimi.
Questi accadimenti avevano luogo rigorosamente in casa, perché non c’era alternativa. L’idea del locale pubblico, del ristorante (che non c’era) o del bar, non si era ancora fatta strada.
La bontà, il livello, la classe di un matrimonio, (riferito alla festa offerta agli invitati) si misurava sul numero e sulla abbondanza delle … “” passate “” .
La … “ passata “ era costituita da questo enorme vassoio che, sostenuto da un cameriere, conteneva i dolci offerti agli invitati.
Si trattava di paste secche, di piccola pasticceria, di torta monostrato (offerta magari due volte, ma tagliata con sagome differenti, una volta a quadrati e l’altra a spicchi, ossia triangoli molto acuti) di dolcetti di cioccolato fino ai classici, irripetibili “ perugini “.
Tra i secchi, gli “amaretti“ davano luogo ad una “passata“ a sé, ritengo per marcare il loro quarto di nobiltà in più in rapporto alle ordinarie, polimorfe e fantasiose paste secche.
Un matrimonio di rispetto non poteva avere meno di 5 passate che, secondo i miei ricordi, rappresentavano lo standard. Poi si aggiungeva quella dei confetti, che era il rito con cui si concludeva la cerimonia.
Le varie “ passate “ erano intervallate dal rosolio.
Dopo ogni passata, veniva offerto un bicchierino di rosolio.
I gusti erano molteplici ma si privilegiavano quelli a colori marcati, che facevano ovviamente più scena.
Ricordo l’alchermes, il curacao, il mandarino, l’amarena, il caffè, l’albicocca, il maraschino, la menta, ……..
Una normale, ordinaria, ricetta di rosolio prevede un quarto di zucchero, un quarto di alcool e due quarti di acqua.- Ritengo che, nelle preparazioni destinate ai matrimoni, le componenti di acqua e di zucchero venissero aumentate a danno dell’alcool.
Saggiamente.
Per ricordare e per confermarti quanto il numero delle “ passate “ connotasse il livello di una festa di matrimonio, riporto una espressione che risale a poco meno di 80 ed a poco più di 75 anni orsono.-
Una signora raccontava alla mia Mamma le difficoltà di una sua figlia fidanzata da ormai troppo tempo ma in ritardo con il matrimonio per le difficoltà economiche sue e del fidanzato. La narrazione si concluse con questa espressione, piena di enfasi e di determinazione, ma che esplicitava anche una quasi disperata rassegnazione :
…. “” ci dissi, … maritati, puru cu tri passati, basta ca ti mariti … “”
Ero poco più che un bambino, ma mi rimase impressa perché mi diede con lucidità la misura di quali fossero i parametri per la valutazione di una cerimonia: e ne conclusi che tre “ passate “ rappresentavano il limite basso più estremo, quello più borderline.
Parliamo sempre di rosolio.
Un altro campo di estesa applicazione del rosolio erano le famiglie.
Proprio (ma non solo) perché poteva essere offerto alle signore e da queste accettato, visto che non necessitava di particolari tecniche di conservazione, ecc. era presente in tutte le case e veniva tirato fuori in tutte le occasioni in cui si voleva mostrare gradimento ad un ospite, ad una visita, ad un incontro.-
Ma nelle famiglie si introduceva un aspetto che, nei matrimoni, era sconosciuto : quello della presentazione.
Così spuntavano delle bottiglie particolari, di sagome e fogge ricercate, intagliate, di colorazioni forti o sfumate, con fregi floreali o immagini marziali, con tappi elaborati al limite tra l’artistico e l’eccentrico, ….
E lo stesso, o quasi, per i bicchierini…
Ma l’apoteosi stava nelle … “ rosolière “.
In occasione di un Natale (o, forse, di un compleanno importante) i miei Genitori ricevettero in regalo, dalla famiglia Bonica Restuccia una bellissima “ rosolièra “ che adesso io conservo e custodisco con grande cura.
E’ un oggetto che ha sicuramente almeno 70 anni.
Le foto dicono il suo bel colore ed i delicati disegni che impreziosiscono sia la bottiglia che i bicchierini