Per il prof. Aurelio Angelini ( ordinario di Sociologia dell’Ambiente, preside della facoltà di Scienze Umane e Sociali, Coordinatore del Dottorato Contesti, Ambienti e Stili di Vita per la Salute e il Benessere presso l’Università di Enna “Kore” oltre che Copresidente del Comitato Nazionale per l’Educazione alla Sostenibilità Agenda 2030 per l’UNESCO) la scelta del governo siciliano di investire in termovalorizzatori, o inceneritori, rappresenta un passo indietro rispetto alle moderne politiche europee di gestione dei rifiuti. Questo approccio viene definito anacronistico perché si basa su una tecnologia del passato che è in netto contrasto con l’obiettivo dell’Unione Europea di promuovere l’economia circolare e il riciclo. Ma ecco quanto scrive e approfondisce oggi su fb.
La Sicilia- secondo Angelini- sta puntando su una soluzione superata, quella dell’incenerimento, mentre il resto d’Europa si muove in direzione del riciclo e della riduzione dei rifiuti. L’investimento di 22 milioni di euro per la sola progettazione dei nuovi impianti è visto come uno spreco di risorse che avrebbero potuto essere usate per potenziare la raccolta differenziata e le infrastrutture di riciclo.

Ed ancora, gli inceneritori – evidenzia il direttore della redazione del Piano di Gestione del sito Unesco delle Eolie-sebbene siano tecnologicamente avanzati, di fatto bruciano rifiuti. Ciò comporta un doppio problema: Inquinamento atmosferico: la combustione produce fumi e scorie che devono essere smaltite in discarica. Distruzione di risorse: i materiali che potrebbero essere riciclati e riutilizzati vengono distrutti, perdendo così materie prime preziose. Questo non solo è dannoso per l’ambiente, ma impedisce anche lo sviluppo di un’industria locale legata al riciclo, che potrebbe generare posti di lavoro e innovazione.
Il governo siciliano, secondo Angelini- ha utilizzato 800 milioni di euro dall’Accordo per la Coesione per finanziare un’infrastruttura che perpetua il ciclo della produzione di rifiuti invece di ridurlo. Questi fondi, originariamente destinati a colmare le disparità economiche e sociali, vengono spesi per una soluzione che sembra non allinearsi con le politiche di sviluppo sostenibile a lungo termine. La capacità di trattamento di 600.000 tonnellate annue è considerata sovradimensionata, e il rischio è che si arrivi a bruciare circa il 30% dei rifiuti totali della regione, un dato che va contro gli obiettivi di riciclo dell’UE.
Insomma, per Angelini, è una strada che porterà la regione a restare indietro rispetto al resto d’Europa. La vera sfida per la Sicilia non è incenerire, ma riciclare, innovare e ripensare completamente la gestione dei rifiuti, in linea con gli ambiziosi obiettivi dell’Unione Europea per l’economia circolare. Se non si cambia rotta, la Sicilia rischia di rimanere intrappolata in un ciclo di inquinamento e spreco, a scapito del suo sviluppo futuro.