di Luisa Brancaccio
In questi anni in cui si è parlato della presenza di capre selvatiche ad Alicudi, ho assistito alla creazione di una narrazione allarmista, di una versione terroristica della questione e anche di un sentimento di paura
nei confronti delle capre: “Le capre stanno distruggendo l’isola!”. Questa narrazione così tragica ha attecchito a discapito del buon senso e della correttezza scientifica perché fa notizia. Urla, drammatizza, è da prima pagina.
“Da Alicudi tutto a posto” non è evidentemente un buon titolo per i giornali. Anche se in effetti sull’isola non è tutto a posto, i problemi ci sono e tanti e la questione capre ha distolto l’attenzione dai problemi veri (la spazzatura, l’acqua, i trasporti, ecc). Ma la percezione della realtà non è mai sganciata dallo stato emotivo
con cui la si osserva la realtà. Per questo è bene chiedere pareri esterni, senza conflitti d’interesse, magari pareri espressi da scienziati visto che parliamo di natura. Nel 2024 un gruppo di biologi indipendenti ha scritto una relazione sull’impatto delle capre selvatiche sulla natura di Alicudi. Ebbene spero che questa relazione
abbia al più presto una maggiore eco sia sui media sia tra gli abitanti delle isole. Perché dimostra, con dati scientifici e una ricchissima bibliografia, che la presenza delle capre selvatiche sull’isola di Alicudi è benefica per la natura selvaggia, protegge dagli incendi, favorisce lo sviluppo degli alberi e la biodiversità, aiuta la popolazione locale di falchi, produce umidità che rinverdisce il territorio .E tutto questo perché la macchia mediterranea insulare si è evoluta fin dal neolitico in presenza di “capre preistoriche”. Questa vegetazione e questi
animali non si danneggiano a vicenda ma si sostengono l’un l’altro. Il fatto che cinquant’anni fa ad Alicudi le capre non ci fossero non fa delle capre una specie aliena. L’animale alieno è un animale che non si è evoluto in quella determinata natura. Ad Alicudi le capre c’erano, poi sono state mangiate, poi sono state riportate poi mangiate di nuovo e così via. Non sono questi i criteri scientifici per definire una specie aliena.
Eppure la narrazione vincente è ancora “Le capre stanno distruggendo l’isola!”. Come è possibile un tale divario tra due visioni di uno stesso piccolo scoglio in mezzo al mare? A chi giova la guerra alle capre? Voglio precisare che le istituzioni hanno dato seguito alla narrazione allarmista senza alcuna documentazione sui danni prodotti dalle capre ma basandosi solo sul sentito dire. Certo si sono mossi soldi, sarà questo. Però io un rapporto sui danni, magari redatto da botanici, lo giudicherei essenziale a far partire una cosa gigantesca come l’eradicazione della capra selvatica che, come tutti gli animali selvatici, è un bene comune che appartiene alla collettività ai fini della salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema. Niente. Danni documentati non ce ne sono, solo voci. E Alicudi è molto più verde di trent’anni fa.
Ma parlavo di lettura della realtà che può essere su base emotiva anziché obbiettiva. Per esempio: alcune zone dell’isola in alcuni mesi dell’anno possono sembrare apparentemente desertificate dalle capre per poi ricrescere rigogliose la stagione successiva. A detta dei biologi tutto questo è naturale. Vedere a fine estate una zona dell’isola senza piante non significa che quella zona sia stata danneggiata. Il terreno è vivo, fertilizzato, pieno di semi portati dalle capre, pieno di insetti e microorganismi e per la fine dell’autunno sarà ricresciuta la macchia
come prima. Ma forse non è la natura spontanea che preoccupa chi ha iniziato questa sceneggiata. In Italia la guerra agli animali selvatici esiste e ha a che fare con l’agricoltura. In alcuni casi estremi, per proteggere le
aziende agricole da seri danni economici, si è provveduto all’allontanamento o all’abbattimento degli animali. Ma stiamo parlando di zone ad altissima produzione agricola. Ad Alicudi l’agricoltura è quasi assente, la caratteristica dell’isola non è l’altissima produzione agricola ma la natura selvaggia, una natura diventata ormai così rara in Italia da trasformare Alicudi in un vero e proprio museo della biodiversità.
Il mio invito quindi è quello ad approfittarne di tanta bellezza e rarità. A salvaguardarla la natura selvaggia e a imparare a convivere con gli animali (che non nego possa essere logisticamente complicato). Il mio invito è a non antropizzare tutto. Ma i muri a secco crollano. Le piogge, l’incuria, le capre e io voglio terminare questa mia riflessione condividendo un frammento di Yeats che mi ha guidato spesso nella vita.
“All things fall and are built again, and those that build them again are gay.” (Tutte le cose crollano e vengono ricostruite, E quelli che le ricostruiscono sono felici).