Riprendiamo da siciliamedica.it e riportiamo una interessante intervista rilasciata da Giuseppe Bonsignore, segretario regionale del Cimo, che aiuta a capire cosa siano sanità e rete ospedaliera oggi in Sicilia, e cosa rappresentano oggi , soprattutto e purtroppo, i piccoli ospedali. Ciò, al netto dei più disparati interessucci politici , disseminati su media e social , che confondono i cittadini.
In Sicilia il tema della rete ospedaliera è di nuovo al centro dell’agenda politica con la seduta prevista il 10 settembre in Commissione Salute all’Ars. Si tratta di un passaggio delicato perché la mappa degli ospedali e dei Pronto soccorso dell’Isola continua a essere un terreno di scontro tra sicurezza clinica e resistenze campanilistiche.
A mettere in evidenza i nodi più critici è Giuseppe Bonsignore, segretario regionale del Cimo, che con parole dure richiama l’attenzione sulla fragilità del Sistema. “Mancano i medici e mancano ovunque. Nei Pronto soccorso delle grandi città, Palermo, Catania e Messina, oggi gli organici sono quasi pieni, grazie anche ai specializzandi. Ma nelle altre province e nei territori periferici siamo alla frutta”.
“In certi ospedaletti il Pronto Soccorso c’è, ma dietro non c’è nulla – prosegue –. Non trovi neurologia, spesso non c’è una cardiologia, la radiologia è chiusa la notte con un reperibile da chiamare, l’anestesista non è disponibile h24. È una follia. In queste condizioni il paziente corre rischi seri”.
“Se uno arriva con un infarto in un piccolo ospedale senza emodinamica, muore. L’emodinamica non si può aprire in tutti i presidi, non esiste da nessuna parte del mondo. Lo stesso vale per una dissezione dell’aorta o per un ictus: se capita mentre il paziente si trova in una struttura senza specialisti, le chance di sopravvivenza crollano. È per questo che il 118 funziona con le reti tempo-dipendenti: l’infarto, l’ictus, i politraumi vengono portati subito nei centri di riferimento e così via – spiega -. Il problema nasce quando la gente si presenta da sola al piccolo ospedale, magari accompagnata da parenti, o quando l’evento si manifesta dentro un presidio che non ha cardiologo con emodinamica, neurochirurgo o un’equipe di emergenza. In quei casi il rischio è altissimo. Non possiamo illudere la gente che avere l’ospedale sotto casa significhi essere curati meglio”.
Il confronto con altre realtà mostra la distanza. “Il Veneto aveva quasi lo stesso numero di ospedali della Sicilia. Ha tagliato più della metà dei presidi, ridotto le aziende ospedaliere e potenziato 118 ed elisoccorso. Oggi funziona con postazioni di primo intervento e trasferimenti rapidi nei centri attrezzati. In America è la stessa cosa: non ci sono ospedali nella prateria, ci sono grandi centri e una rete che trasferisce i pazienti. Qui, invece, il campanilismo dei sindaci blocca ogni riorganizzazione”.
Il nodo cruciale resta quello delle infrastrutture. In Sicilia spostarsi non è semplice: strade dissestate, collegamenti interrotti e tempi di percorrenza anomali. Bonsignore lo dice chiaramente: “Non è normale che da Palermo a Catania si possano perdere quattro o cinque ore, o che un’ambulanza abbia difficoltà a raggiungere un paese dell’entroterra. Ma qui non parliamo di 200 chilometri. Si parla di 15, 20, 30 Km. È questo il punto. Meglio impiegare un quarto d’ora in più in macchina per arrivare in un posto sicuro, o rischiare la vita in un ospedale senza strumenti?”.
Un ragionamento che tocca un nervo scoperto, perché la riorganizzazione della rete ospedaliera è da anni oggetto di contesa tra Governo regionale e amministratori locali. L’ultima proposta dell’assessorato alla Salute prevedeva la riconversione dei presidi minori in punti di primo intervento, con il rafforzamento dei grandi dipartimenti di emergenza e delle reti del 118.
Gli esempi non mancano, provincia per provincia. Nell’Agrigentino i piccoli ospedali di Canicattì e Licata vengono ricondotti a funzioni di base. Nel Trapanese la stessa sorte riguarda Alcamo e Salemi. In provincia di Siracusa compaiono Augusta e Lentini, mentre nel Ragusano è segnalato il presidio di Comiso. Nell’Ennese tocca a Leonforte, mentre nel Messinese sono indicati Barcellona e Sant’Agata di Militello. La provincia di Palermo vede coinvolti Termini Imerese, Partinico, Corleone e Petralia Sottana. Nel Catanese i documenti riportano Biancavilla, Paternò e Bronte, mentre nel Nisseno figura Mussomeli.
Ma in Sicilia il percorso si è arenato davanti alle barricate dei territori: non solo sindaci, ma anche sigle sindacali e deputati regionali hanno difeso gli ospedali di prossimità come simbolo identitario, anche quando i presidi non dispongono di discipline e servizi h24 per gestire in sicurezza le emergenze tempo-dipendenti. È qui che il ragionamento di Bonsignore trova il suo punto più critico.
“È solo un problema campanilistico, sterile e dannoso. Bisogna avere il coraggio di dire ai cittadini che la sicurezza non sta nella vicinanza, ma nella qualità delle cure“, conclude Bonsignore.
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di Mario Paino
Sarebbe tutto giusto se con celerità si trovasse il posto per pazienti provenienti dai piccoli ospedali o da territori emarginati. Il punto talvolta è che la riduzione dei posti letto mal si concilia con la esigenza di ricovero pur in presenza di patologie importanti(ad eccezione di infarto e ictus che hanno comunque un percorso di rete tempo dipendente).Per cui avviene che si impiegano ore in un pronto soccorso non sufficientemente attrezzato per reperire un posto letto pur in presenza di patologie importanti che necessitano interventi immediati.La
concentrazione di servizi e professionalità nei grandi ospedali è possibile solo attraverso un incremento di posti letto e dotazioni organiche e strumentali che sopperiscano la soppressione dei servizi negli ospedali periferici.In assenza di ciò si lascia scoperta da qualificata assistenza una parte consistente di popolazione che comunque nelle zone periferiche ha diritto a quelle prestazioni in emergenza propedeutiche al trasferimento che in gran parte sono soppresse