Ci sono dei film dove, se lo spettatore non entra per diventare anch’egli protagonista della storia, tutto si perde in modo irrimediabile. Questo Wim Wenders lo sa bene dall’alto della sua carriera straordinaria che lo ha portato a essere uno dei più importanti registi contemporanei.
E dopo angeli che volteggiavano su Berlino, la scoperta di artisti straordinari nei suoi leggendari ritratti ecco Wenders ritornare, a quarant’anni di distanza, a Tokyo per saldare un debito di riconoscenza verso l’autore che forse più di tutti ha amato, Yasujirō Ozu.
Perfect days doveva essere un lavoro su commissione sulla struttura dei servizi igienici nella metropoli giapponese. Nelle mani di Wenders diventa una delle più splendide elegie che il cinema ci abbia raccontato negli ultimi anni. L’elogio della semplicità della vita, la pienezza della quotidianità contro il vuoto che la frenesia moderna lascia nelle nostre vite.