Eolie storia, 13 settembre 1788 – Lazzaro Spallanzani

spallanzani 00113 settembre 1788 Lazzaro Spallanzani

Il viaggio alle Eolie del naturalista Lazzaro Spallanzani inizio il 24 agosto 1788 prendendo posto su un bastimento marsigliese in partenza da Napoli e diretto a Messina e che al ritorno avrebbe toccato Lipari per effettuarvi un carico di pomice.

Il 12 settembre compì la traversata Messina – Lipari. La sua sosta alle Eolie ebbe la durata complessiva di circa trentacinque giorni a partire dal 13 settembre. Il suo rientro a Messina avvenne non prima del 17 ottobre.

Lazzaro Spallanzani è, in assoluto, il primo scienziato italiano che in lungo e in largo, e con mentalità del tutto moderna, esplorò l’Arcipelago eoliano attenzionando, oltre che i fenomeni e ogni sorta di prodotti vulcanici, pure la realtà socio-economica di ciascuna comunità isolana. Nell’area di San Calogero notevoli sono state le sue osservazioni sulla natura vulcanica dei terreni con comparazioni alle lave dell’Ente, dello Stromboli, del Vesuvio ed ai fenomeni vulcanici di Pozzuoli. Spallanzani va una analitica descrizione delle varie tipologie di roccia vulcanica osservata.

Ci limitiamo a riportare gli aspetti descritti – paesaggistici della sua visita alle “Stufe” ed ai “Bagni” di Lipari.

(…) Ma le tanto rinomate Stufe di Lipari sembrano esser l’oggetto, che più d’ogni altro muova la curiosità del Viaggiatore. Non doveva io adunque ometterne la visita. Sebbene debbo dire che il viaggio per andarvi fu a me di maggiore istruzione, che le stufe medesime. Giacciono all’ouest a quattro miglia dalla Città, poco al di là della vetta d’un Monte, che dopo quello di S. Angelo e della Guardia è dei più alti dell’isola. La strada ch’io presi fu quella che dalla Città mena alle Stufe, ed è l’unica che senza disagi possa condurvi. Ella è considerevolmente lavoro dell’acque piovane, che altamente scavato hanno una immensa mole di tufo. (…).

Comincia a qualche centinajo di passi dalla Città, e senza interruzione arriva fino al di là della sommità del Monte delle Stufe. Cotesto Monte, come il più degli altri, varia negli andamenti, formando ora declivi soavi, ora ripidi e scoscesi, ora piani quasi orizzontali, ora dirupi poco meno verticali. (..).

Giunto poi che siasi al sommo del Monte, si apre all’ouest un’amplia pianura dell’istesso tufo, ma fatto terriccio, dove si semina frumento, e dove sono pochi vigneti. Luccicano su di essa frequenti pezzi di vetro suddiafano nericcio, e dei più belli e più puri che offra Lipari.(…).

Al di là di quella pianura evvi una facile discesa di dugento piedi all’incirca, a capo della quale esiston le Stufe. Quella prevenzion favorevole, che per la loro rinomanza aver potesse il curioso Viaggiatore, la perde ad un tratto all’aspetto delle medesime. Formano un gruppo di quattro, o cinque cave, più simili alle tane degli orsi, che alle abitazioni degli uomini, e nelle quali l’arte infinitesimale è più bambina, che nelle fabbriche dei Castori. Ogni cava per di sotto ha un’apertura, per cui entrano i caldi ed umidi vapori, ed un’altra per dissopra, da cui ne esalano. Entrato in una di esse, poco vi potei dimorare, meno per il calorico, che nel termometro marcava solamente il grado 48 2/3, che per un non so che di soffocante, che aveva l’interno ambiente. Queste Stufe ritengono ora poco più che il nome, essendo pressochè derelitte. Di fatti quando anche conservassero la loro virtù, e fossero vantaggiose contro diversi malori, come usarle, se mancano d’ogni comodità assolutamente necessaria per chi dee valersene?

Quando le visitò il Sig. Dolomieu, tutto il terreno su cui sono poste, era penetrato da cocenti vapori, che sotto forma di un denso fumo uscivano da piccole aperture del diametro d’uno o due pollici. Allorchè io ci andai, le cose di molto erano cangiate, come accader suole né vulcani, dove si manifesta più o meno la presenza del fuoco. Non vi era che un foro d’un pollice circa, da cui a volte a volta esalava una traccia sottile di fumo fetente di odore di solfo; ed allargato avendo io il foro, lo trovai attorniato da scarsa copia di molli sulfuri di ferro, ivi generati dall’unione del ferro, e del solfo. (…).

Il testè nominato francese dopo l’avere descritte le Stufe di Lipari, passa a far parole delle alterazioni cagionate da’ vapori acidi sulfurei su le lave di quel luogo, notando che tutte, oltre l’esser diventate tenere, e più leggieri, e l’aver perduti i primitivi colori preso hanno una tinta bianca, frammischiata al giallo, al rosso, al violetto, e all’altre gradazioni, che soglion prodursi dagli ossidi del ferro. Avverte in oltre che le medesime vestite si sono d’una grossa crosta di sulfati di calce, che questi sulfati penetrano anche al di dentro; e che qualche lava è coperta dalla miniera del ferro detta fangosa. Spiega poi molto acconciamente, come mediante la combinazione dell’acido sulfurico con diverse terre, le lave si sieno rese più leggiere, e variamente colorate. (..).

Ove il viaggiatore Naturalista ha superata la sommità del Monte delle Stufe, egli è pervenuto da quella parte ai confini dell’Isola; giacchè al di sotto vede subito il mare, più basso di cui 460 piedi circa a misura d’occhio. Torcendo poscia il cammino al sud trova più sorgenti d’acqua calda, una delle quali forma i Bagni di Lipari antichissimi eglino pure come le Stufe, ma egualmente che loro pressochè abbandonate. E continuando i passi per la medesima direzione, si abbatte di nuovo in una prodigiosa immensità di lave decomposte, somigliantissime a quelle delle stufe, dipinte medesimamente con gli stessi varianti colori, e sparse altresì di croste di sulfato di calce.(…).

Tre volte mi recai alle Stufe. Le due prime mi ritornai alla Città per la stada istessa che preso aveva nell’andarvi, e che è scolpita nel tufo. Ma la terza rivolsi il passo a Campo Bianco, e al Monte della Castagna, e di là mi spinsi all’altissimo Monte S. Angelo. (..) La pendice del Monte delle Stufe, e l’amplia sua pianura sottogiacenti al tufo, formano, come si è osservato, un letto di pomici miste a più vetri, e a più smalti. . Ma ad un quarto di miglio dalle Stufe verso Campo Bianco, perdutosi di vista il tufo, ricompajono a nudo le pomici, che continuano con quelle di detto Campo, e le ho pur trovate nel cammino di là preso al Monte S. Angelo, il qual Monte ne abbonda egli stesso..(…).

 

Giuseppe La Greca

 

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