di Lino Natoli
Tra le molte reazioni e commenti all’intervento del Sindaco di domenica scorsa presso l’hotel Arciduca mi è capitato di leggerne qualcuna molto interessante a proposito del rapporto tra singole categorie economiche e popolo. Tra l’altro interventi di amici che con il diritto hanno frequentazioni per necessità professionali e lavorative.
La comunità, la società, il popolo, chiamatelo come volete, è necessariamente costituito da categorie: commercianti, operai, professionisti, albergatori, dipendenti pubblici e privati, studenti, singoli cittadini, giovani, vecchi, malati ecc., ogni categoria è portatrice di interessi particolari, interessi che talvolta possono confliggere. Non è il caso di fare troppi esempi, basti pensare all’uso del suolo pubblico, agli orari di apertura e chiusura dei locali pubblici, alle attività estive delle ditte che operano nell’edilizia, agli spettacoli musicali tenuti per strada, alla viabilità, all’isola pedonale e via discorrendo. In questi casi come si fa a mediare per stabilire i giusti diritti? La tesi che sembra affiorare, talvolta, è che la mediazione tra interessi contrapposti o concorrenti dovrebbe essere garantita dai buoni sentimenti: il sindaco che si comporta come un buon padre di famiglia, l’assessore che si sa immedesimare nella situazione, il consigliere comunale che sa ascoltare le istanze dei singoli cittadini e poi le perora negli uffici comunali.
Benché questa attitudine possa apparire motivata da buone intenzioni, il rischio di scivolare dai buoni sentimenti alla pratica clientelare è dietro l’angolo. La via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, si sa. Ed infatti questo metodo non solo acuisce gli scontri, ma spesso finisce con il favorire il più forte, indipendentemente dai torti o dalle ragioni.
Lo strumento che nelle società civili è deputato a mediare gli interessi contrapposti è la norma, sono i regolamenti. Tutti strumenti che, ovviamente, possono essere discussi, ma finché vigono devono essere applicati. Questo è il compito dell’amministratore pubblico: amministrare la cosa pubblica, operare per il benessere della comunità nell’ambito che le norme prevedono.
Esistono due gravi pericoli che accompagnano l’attività di chi si impegna nella pubblica amministrazione, il reato di abuso e quello di omissione. Chi abusa va oltre la norma, chi omette non la applica. Chi abusa si illude di esercitare poteri che possono persino violare le norme, chi omette si limita a pensare, vabbé vedetevela fra di voi. La conseguenza, in ogni caso, è il caos, l’incarognimento dei rapporti tra le persone, la distruzione della comunità, il prevalere della forza sulla ragione.
Mi è parso di capire che il sindaco si sia limitato a richiamare questo semplice principio: non si può amministrare a dispetto delle norme, non si può fare finta che non esistano. Perché un principio così elementare dovrebbe costituire un pregiudizio per le singole categorie? Perché in fondo siamo dei sentimentaloni, perché non ci piace vedere l’amico, l’elettore che soffre, quindi siamo portati ad intervenire mettendo davanti ad ogni cosa i sentimenti. Le conseguenze di questo eccesso di affetto che si è protratto negli ultimi decenni ha ridotto il nostro comune e la nostra comunità allo stremo. Proprio quando sembrava che le cose si stessero riavviando verso la normalità ecco che riemergono i sentimenti sopiti, la nostalgia per le vecchie maniere da cui nessuno di noi può dirsi veramente immune.
A questo punto si aprono due possibili scenari, o si va avanti con la pratica della buona amministrazione o si torna indietro in nome dei vecchi sentimenti. Penso che ogni cittadino di questo comune vorrebbe essere rispettato piuttosto che amato, ascoltato piuttosto che favorito, tutelato dalle ragioni piuttosto che dalle persone. Penso, ma non ne sono così sicuro.