A cura di Massimo Ristuccia
Stralcio da L’Unità 17.05.1957. Lo scrittore e giornalista G. B. CANEPA incontra sulla nave diretta a Lipari il professore Bernabò Brea.
“”Il battello di Lipari si prende a Milazzo, di buon mattino. La giornata è grigia e , fuori del porto, le acque si prevedono mosse. Davanti alla biglietteria, come la volta scorsa quando feci quel viaggio, un frate dall’aspetto trasandato tende la cassetta delle elemosine per l’obolo propiziatorio: ad uno ad uno individua i viaggiatori abituali, e li interpella famigliarmente; mentre agli altri s’avvicina umile e discreto, il collo torto.
Il viaggio dura un paio di ore o poco di più: e appena fuori del capo, già s’intravvede il profilo dell’isola dello Stromboli; ma i passeggeri sono rintanati nelle scalette o giù in basso, nelle corsie di seconda classe, dove si soffre meno. Sul ponte e rimasto solo un signore, e a lui mi rivolgo per scambiare quattro chiacchiere: è il professore Bernabò Brea che soprintende agli scavi archeologici nel Mezzogiorno. Allora, quando feci il viaggio di Lipari , era assente, il museo non era ancor aperto al pubblico e la sua aiutante, Madame Cavalier si diceva fosse alquanto scorbutica coi giornalisti, e certo non invogliava a chiedere una deroga alle disposizioni: e dunque ora si sarebbe potuto visitare questo museo? Si, naturalmente, e se lo avessi voluto, lui stesso cortesemente si offriva per accompagnarmi.
Fu così che, all’arrivo, potei fare la conoscenza della sua famosa aiutante, Madame Cavalier: e a me parve tutt’altro che d’umor difficile, che anzi, percorrendo assieme quei cameroni che una volta servivano per l’alloggio dei confinati, e che ora hanno mirabilmente trasformati in museo, e avendole chiesto se i metodi in uso in certe altre zone, a Cerveteri, ad esempio, con sonde elettriche e assaggi acustici fotografici, più che a esplorare quella data zona archeologica non servissero a saccheggiare le tombe, per tutta risposta e come non avesse rilevato l’indiscrezione della domanda, veniva descrivendomi le ansie e, al tempo stesso, le gioie dell’esplorazione del sottosuolo con scavi sistematici dell’intero giacimento, senza peraltro ricorrere a strumenti scientifici moderni, ma semplicemente operando con estrema pazienza e con metodi che essi stessi andavano perfezionando di giorno in giorno. Così operando erano riusciti a ricostruire la successione delle culture umane dal periodo neolitico a quello del bronzo, del ferro, fino al periodo greco, tanto che ora, in quel loro museo si poteva abbracciare, in maniera unica, cinque millenni di storia della civiltà.
Il professore intanto s’era messo a parlarci dei periodi di prosperità e di decadenza delle isole Eolie, e ci andava sottoponendo frammenti di vasi in ceramica impressa oppure dipinta a bande rosse e nere, o ancora d’impasto bruno; eppoi lucerne, tazze, orci, maschere di personaggi della commedia attica e ateniese; e infine gioielli di diversa fattura, statuette, scarabei: oggetti che così come erano disposti nelle varie sale, rappresentavano la documentazione precisa della successione stratigrafica di quella area archeologica che comprende il milazzese e le isole Eolie: Filicudi, Panarea, Basiluzzo e, principalmente Lipari.
In tal modo dunque, questi scienziati che avevan dedicato la loro vita a frugare sottoterra alla ricerca di mondi scomparsi, indirettamente rispondevano a un laico che con poca discrezione li aveva richiesti d’un giudizio su metodi di ricerca che forse non li convincevano che per lo meno non avevano voluto essi stessi adottare: e ciò mi richiamava alla mente un racconto che lessi anni fa, d’un astronomo e di un tale suo conoscente che avendogli chiesto la conferma di non so quale cosa spiacevole che gli era occorsa, per tutta risposta gli s’era messo a parlare dei milioni d’anni che la luce d’un dato astro impiegava per raggiungere la terra.””