di Massimo Ristuccia
IL MATTINO ILLUSTRATO N. 35 1 SETTEMBRE 1979
Un giorno, si dice poco meno di un milione di anni fa, i fondali del mar Tirreno, a duemila metri di profondità, si squarciarono improvvisamente e attraverso le enormi voragini sgorgarono dalle viscere della terra montagne di materiali incandescenti. Le acque azzurre si arrossarono di fuoco e lave, pomici, minerali d’ogni genere, in un apocalittico miscuglio, si levarono verso il cielo, si raffreddarono rapidamente al contatto con l’atmosfera, solidificarono. Il grembo immenso della terra aveva partorito le Eolie. Si formarono così Alicudi, Filicudi, Panarea e parte di Salina e Lipari. Successivamente un altro grande sconvolgimento produsse il completamento di Salina e di Lipari e la nascita di Vulcano e Stromboli.
Secondo le leggende i primi abitanti delle sette isole furono i siculi, oppure gruppi di uomini dell’Italia Meridionale capitanati da Liparo, oppure, durante la guerra di Troia, i greci di Eolo. La mitologia avrà pure un fondamento reale da qualche parte ma i primi dati sicuri risalgono a duemilacinquecento anni fa quando nell’arcipelago si insediò una colonia greca. Esistono anche alcune testimonianze risalenti ad un migliaio d’anni prima come il villaggio preistorico milazzese che mostra i resti di alcune capanne in pietra e che è ubicato su uno dei promontori della incantevole baia di Calajunco, a Panarea, o come i ritrovamenti sui fondali marini provenienti da scavi che figurano nel Museo Archeologico di Lipari. Più indietro non si va anche perché le intense attività vulcaniche hanno travolto e sepolto tutto sotto gli spessi manti di lave e di ossidiane. Dopo i greci l’arcipelago finì sotto la dominazione romana e, a tratti, cartaginese e così via fino a seguire le sorti della Sicilia e del reame di Napoli di cui fece parte definitivamente.
Sulle Eolie sono stati compiuti studi e ricerche resi possibili soprattutto grazie ad un’iniziativa dell’arciduca d’Austria Luigi Salvatore d’Asburgo che inviò nell’arcipelago scienziati, scrittori ed artisti a bordo di una sua nave perchè descrivessero le isole e ne dipingessero squarci quanto più fedeli possibile. Nel 1894 furono così editi sette volumi meravigliosi, uno per ciascuna isola, ed un ottavo riepilogativo. I volumi, in lingua tedesca e sotto il titolo “Liparischen Insulen” sono gelosamente custoditi nelle sette isole e rappresentano una vera propria storia dell’arcipelago ricca peraltro di stampe e di illustrazioni. A poco più di venti miglia a nord della Sicilia, le Eolie dovrebbero essere la valvola di sfogo del turismo siciliano: ed invece i siciliani nell’arcipelago non ci vanno quasi per niente. In fondo non ne hanno bisogno perché Milazzo e Cefalù e fino a Palermo godono di una costa dolcemente declinante che forma chilometri di spiaggia libera affacciata su un mare trasparente e pulito che gli italiani della Liguria e dell’Adriatico, dello Jonio o del medio Tirreno, se lo sognano. Così, visto il “tutto esaurito” di Ischia, di Procida, di Sorrento e della costiera amalfitana e vista la brutale selettività di Capri per una questione di carattere esclusivamente finanziaria, le Eolie sono ormai diventate la naturale propaggine del turismo napoletano e romano grazie anche alle celeri linee di aliscafi che in meno di cinque ore compiono il tragitto da Mergellina con cadenza quotidiana. Lipari, la maggiore delle sette sorelle, Panarea, Salina, Vulcano, Stromboli, Alicudi e Filicudi con le loro baie profonde, le loro grotte marine, i picchi, gli scogli affioranti, i faraglioni, le cale per chi è abituato alle rocce suggestive ed ineguagliabili di Caprio di Ischia o della costiera amalfitana, possono pure lasciare del tutto indifferenti: ciò che invece fa impazzire è il mare.
Dal gozzo di Bartolo che fa il giro di Vulcano (2500 lire a persona con sconti per le comitive e riduzioni per i bambini) a fissare l’acqua non si capisce se il fondale è basso mezzo metro o profondo cinquanta e più. Si salpa dal porto di Levante dove attraccano traghetti ed aliscafi e si va per Acque Calde dove il pelo del mare ribolle di fumarole e si fanno le maschere di fango e zolfo che tolgono dieci anni alla pelle e cancellano i solchi delle rughe, fino a circumnavigare Vulcanello, un promontorio emerso dall’acqua in epoche successive alla formazione dell’isola. Poi si costeggia il porto di Ponente e si va a far visita alla grotta del Cavallo. Dalle rocce che sovrastano l’orrido orifizio pare che secoli fa un pastore sia caduto con il suo cavallo affogando nel mare, ma altri dicono che la grotta venga così denominata perché, nelle notti di luna piena, affiorano a branchi sull’acqua i cavallucci marini. Improvvisamente, dopo un altissimo sperone, compare maestoso il vulcano lungo le cui falde si vedono i segni delle colate di materiali una volta incandescenti ed ora solidificatisi. Ai faraglioni Bartolo entra in uni insenatura e propone il bagno proibendo categoricamente il tuffo di testa: il fondale sembra lontano e profondo come fuori della baia ma a scendere lungo la scaletta ci si bagna a stento fino al ginocchio. Poche automobili, qualche ciclomotore per lo più sbarcato dalle grosse imbarcazioni che ormeggiano alle banchine, molte biciclette: una pace definitiva resa ancor più riposante dalla mancanza di illuminazione lungo i viottoli del paese. Si mangia soltanto pesce naturalmente e si beve la Malvasia, vino rosato e vulcanico tratto dalle uve dei vigneti-nani disseminati dovunque.
Una delle caratteristiche strabilianti dell’arcipelago: ogni isola è radicalmente diversa dalle altre, come se avesse una sua ben definita “personalità” e volesse distinguersi. Lipari, la più grande, sede del comune e centrale di tutte le attività turistiche, ad esempio, non ha niente a che vedere con Vulcano pur distando le due isole sì e no un miglio e mezzo. E Lipari stessa: da una parte è tutta bianca candida e dall’altra è tutta spaventosamente nera. La montagna di pomice è una delle maggiori fonti di ricchezza delle Eolie. Da quando detersivi e dentifrici e saponi si fabbricano a base di pomice gli abitanti dell’arcipelago non hanno più conosciuto crisi economiche. Se ne esporta in tutto il mondo, principalmente in Germania e negli Stati Uniti. Pale a motore a autoscavatrici, ponti e nastri scorrevoli portano i materiali estratti e meccanicamente selezionati fin sulle banchine dove vengono imbarcati sui mercantili. Vicino alla montagna bianca, bianca come se fosse ricoperta di neve, c’è una specie di pista da sci, alta un centinaio di metri ed a picco sul mare. Bianca, bianchissima anch’essa. I nudisti che in genere bazzicano questa zona vi salgono in cima e si buttano giù rotolando nella polvere soffice per finire direttamente nelle acque splendide e trasparenti. E’ un’attrattiva, un diversivo, un bagno di mare insolito, a parte i nudisti naturalmente.
Tutta la lunga spieggia bianca si chiama Canneto ed è chiusa tra il monte Rosa e punta Castagna. Dalla parte opposta dell’isola il paesaggio cambia da così a così: la spiaggia nera, nera come la pece sulla quale pendono minacciosamente speroni paurosi e giganteschi di roccia ossidiana, lucida e tagliente. Viene usata per fabbricare ceramiche ed altri oggetti. E poi sempre baie, insenature profonde, gole, veri e propri canyon del mare, grotte e spiaggette alle quali l’accesso è possibile soltanto dal mare. Se a Vulcano villini ed alberghi si possono contare sulla punta della dita e sono disseminati e seminascosti dalla vegetazione, Lipari è una cittadina ammassata ordinatamente tutta da un lato, a monte delle due marine, Marina Lunga e Marina Corta, intorno alla fortezza all’interno della quale sorgono il castello cinquecentesco con i suoi bastioni a strapiombo sul mare, la chiesa dell’Addolorata e la superba cattedrale Normanna. Nel castello ha sede anche il Museo Eoliano che raccoglie il frutto degli scavi eseguiti sull’Acropoli e nelle stazioni preistoriche della stessa Lipari e delle altre isole. Una gita obbligatoria è quella nelle zone alte di Lipari, a Quattrocchi in particolare, da dove si può ammirare un panorama favoloso. Questo “davanzale” è chiamato Quattrocchi perché “due occhi non bastano per vedere quel che c’è da vedere di lassù” dicono le guide turistiche con inflessioni da imbonitori.
Dai punti alti di Lipari si rileva come l’isola alterni a zone di larga vegetazione intere falde di montagne completamente “pelate” bruciate dal sole e corrose dalla salsedine che mareggiate e venti portano a piccole particelle anche sulle vette più protese verso il cielo.
In contrapposizione a Lipari ecco a brevissima distanza Salina, un’isola che per estensione è la seconda dell’arcipelago. Salina è tutta verde, ricca di vegetazione spontanea ed è particolarmente adatta alle colture. Una volta vi fioriva l’industria del sale ma ora è stata abbondonata perché on è più redditizia. E’ l’isola più “normale” di tutte, con le rocce color roccia, il verde, la spiaggia color sabbia, le case che sono case comuni, come tutte le altre. Persino le barche che i pescatori di Salina costruiscono sono barche come tutte le altre, come i nostri gozzi, come i gozzi di Sorrento o le “bascacce” della Calabria e si differenziano non poco da quelle di Lipari e di Vulcano in genere più panciute, massicce e pesanti. Salina è un’isola caratteristica del Mediterraneo, con la sua Marina, la spiaggia di lingua, le scalate a mare di Rinella e di Leni. C’è meno turismo , ci sono meno alberghi e c’è meno movimento proprio perché non offre attrattive insolite o vedute e paesaggi diversi e rari. Vulcano, Lipari e Salina, sono vicinissime l’una all’altra e formano una specie di piccolo arcipelago nell’arcipelago.
Più a nord sorge Panarea, la regina delle Eolie. Il suo biglietto da visita è la baia di Cala Junco, dalle acque piatte e verdi, sovrastata dal villaggio e da una lunghissima scalinata in pietra lungo la quale si possono godere panorami incantevoli: una vera lunga balconata sull’isola. La regina delle Eolie non è sola: una corte di damigelle le fa corona tutt’intorno. Basiluzzo, Spinazzola, Lisca Bianca, Lisca nera, Dattilo, Bottaro, i Panarelli ed il gruppo delle Formiche sono una serie di isolotti e di scogli affioranti che proteggono le regina forse, chissà, dagli umori bizzosi dell’irascibile Stromboli che, più a Nord, minaccioso, altissimo, nero ed eruttante sembra giganteggiare sulle rocce basse e delicate di Panarea. I barcaioli dell’arcipelago fino a qualche tempo fa si facevano una concorrenza spietata per l’accaparramento dei turisti da portare in giro per le isole. Poi si sono seduti in trattoria tutti insieme ed hanno deciso di associarsi e di organizzare il loro lavoro in armonia. Adesso posseggono una flotta composta di diversi tipi di imbarcazioni, le ammiraglie sono la “Celentano” e la “Condor”, due potenti mezzi capaci di imbarcare cento passeggeri ciascuno e di raggiungere le isole più lontane. Così da Vulcano, o da Lipari, o da Panarea, si può andare a Filicudi o a Stromboli, scendere a terra, visitare le due isole, assistere alle spettacolari eruzioni di Stromboli verso le 10 della sera e rientrare a Lipari o a Vulcano poco dopo la mezzanotte. E’ indubbiamente una delle gite più belle ed affascinanti specie nelle notti di luna piena.
Stromboli, un vulcano in mezzo al mare, nero ed inospitale fino a due miglia dalla costa. Poi affascina ed incanta. Le spiagge sono di una pomice pesante e nera fino alla punta di Scari, poi c’è la Sciara del Fuoco, una pendice ripida lungo la quale ancora oggi, di tanto in tanto, colano ruscelli e torrenti incandescenti fin giù nell’acqua facendola ribollire. Da questa parte è impossibile avvicinarsi: lo spettacolo va osservato prudentemente a debita distanza. In alto, dai numerosi crateri si levano materiali infuocati proiettati in cielo dalle esplosioni continue che vanno intensificandosi verso l’imbrunire a causa del cambiamento della temperatura e quindi del gioco delle pressioni atmosferiche.
Quando il sole cala Stromboli diventa ancora più nero e dantesco con quella nuvolaglia color antracite che incornicia quasi sempre la sua maestosa vetta. Anche a Stromboli pochi viottoli senza illuminazione, qualche pensione o qualche albergo nei pressi del mare, la pizza che a sera si va a mangiare su un terrazzo, la chiesa, un prete, tre carabinieri.
Accanto a Stromboli, Strombolicchio, un grosso scoglio a forma di castello medievale sormontato da un faro che i barcaioli hanno elevato a vanto prestigioso del loro progresso tecnologico: “E’ interamente alimentato da batterie solari”. Il sole laggiù, nelle Eolie, non manca quasi mai. D’inverno la temperatura media minima non scende sotto i 12 gradi. Eppure l’anno scorso nevicò, erano ventisette anni che non nevicava sulle Eolie. Alcuni emigranti vennero persino dall’Australia per vedere le loro isole ammantate di neve. Fu un vento eccezionale.
Le estremità dell’arcipelago sono Alicudi e Filicudi, poco abitate e di conformazione e di vegetazione completamente diverse dalle altre sorelle. Filicudi è ricoperta di felci nel suo interno mentre verso il mare si presenta a terrazzamenti rocciosi sui quali fioriscono distese di ginestre che si alternano a tratti boscosi. E’ poco frequentata perché è meno facilmente raggiungibile se non con mezzi privati. E lo stesso discorso vale per Alicudi, lontanissima dall’arcipelago ed abitata da pochissime famiglie le cui abitazioni, in riva al mare, sorgono ai piedi della chiesa di San Bartolomeo. Non ci sono carabinieri e non c’è nemmeno il prete: gli abitanti si autoamministrano fede e giustizia. Anche a Alicudi molto verde, molta vegetazione e, contrariamente alle altre isole, scarsissima attività vulcanica.
Il turismo, pur avendo scoperto l’arcipelago non è riuscito ancora a contaminare irreparabilmente le bellezze naturali. Manca la ricettività sifficiente per creare il movimento di massa e difficilmente sorgeranno nuove costruzioni: qui il piano regolatore l’hanno fatto prima che si deturpasse il paesaggio con il cemento e non dopo, come invece è avvenuto altrove. E così Lipari, Panarea, Stromboli, Vulcano, Salina, Filicudi, e Alicudi resteranno a lungo come sono oggi e come le vogliono i pescatori, i contadini, i boscaioli delle isole. Il turismo sta bene alla gente dell’arcipelago, ma il turismo intenso più come vanto ed orgoglio per le bellezze naturali della propria terra piuttosto che come motivo di lucro o di speculazione. In effetti il notevole gettito delle presenze italiane e straniere è più che sufficiente agli eoliani per vivere e vivere bene. O vogliamo far diventare caotici centri urbani ingolfati di traffico anche i viottoli di Vulcano e le falde dello Stromboli?
Carlo dell’Orefice.