a cura di Massimo Ristuccia
La Stampa , mercoledì 11 agosto 1976
Vulcano oggi è irrimediabilmente sovraffollata- da quattro o forse cinquemila villeggianti per lo più milanesi, torinesi, toscani, romani, che si accalcano in una caotica distesa di villini spuntati fuori a un palmo l’uno dall’altro fra Porto Levante e Porto Ponente. C’è, superstite, una sola oasi verde e libera: la lingua di terra di Vulcanello colpevoli Sacrificati dalla speculazione edilizia — c’è un minimo di logica urbanistica soltanto nella dozzina di alberghi e villaggi turistici vulcanesi — sono stati spazzati via da sudate comitive gli anni della avventura e della gaiezza; sembrano sfatti anche gli spaghetti olio, aglio e peperoncino a notte alta, dopo ore ed ore di balli nei ritrovi una volta reclamizzati dalla jet-society che si è trasferita a Portorotondo e a Porto Santo Stefano.
Fra i «colpevoli» è Mike Bongiorno che adesso fa, giustamente, l’autocritica e medita di vendere la bella villa con ampia piscina costruitasi dieci anni fa nella «sua» Vulcano. Troppe volte il popolare presentatore in tv ha tessuto gli elogi di Vulcano, col risultato di averla data in pasto alla gente come un prodotto di «Carosello». Continuando di questo passo — temono gli albergatori e gli operatori turistici delle sette Eolie — fatta l’esperienza come dire «di massa» di Vulcano, i forestieri non torneranno più nell’arcipelago nella speranza di trovare altrove pace, riposo e comodità.
E’ un discorso serio e fondato condiviso a Lipari dall’ing. Giuseppe Rodriguez presidente della Azienda turismo Isole Eolie ed assessore democristiano all’Urbanistica e ai Lavori Pubblici di Lipari. La pensa così anche Bartolo Famularo, presidente dell’Associazione albergatori sorta da appena due anni e consigliere del pri al comune di Lipari. «Lavoriamo un mese e mezzo, due mesi l’anno e poi non viene più nessuno — dice sconsolato Stefano Del Bono, direttore e comproprietario del «Carasco» di Lipari, il più bell’albergo eoliano — finché il malvezzo delle ferie in agosto finirà per stroncarci. Comunque, non ci arrendiamo».
Famularo invece se la prende con la disorganizzazione («ma stiamo correndo ai ripari e fra non molto vareremo una cooperativa di albergatori per dimezzare i costi dei servizi e degli approvvigionamenti») e con gli uffici turistici che a suo parere non fanno abbastanza. Anche alle Eolie sono sotto accusa, ma in senso inverso, le bandiere-ombra: «Drastici provvedimenti sono opportuni — sostiene Famularo — ma si doveva aspettare la fine di questa estate e dar tempo ai proprietari delle barche “straniere” di mettersi in regola. Invece che hanno fatto? Li hanno terrorizzati e spinti a fuggire in Grecia, a Malta, in Nord-Africa».
Le altre isole.
Nel ’75, 32 mila arrivi e 165 mila presenze negli ufficiali 3100 posti-letto eoliani (ma ve ne sono altri 2 mila almeno non registrati) furono soddisfacenti per la azienda e gli albergatori: «Ma si potrebbe fare molto di più — ammette il dottor Luciano Siracusa, direttore della Azienda Turismo — se avessimo altri posti-letto e se finalmente le ferie fossero scaglionate». Vulcano a parte, ma pure il suo mare è limpido, le altre bili per vacanze-sogno: Lipari, Panarea, Salina, Stromboli col suo cratere in perenne eruzione, Filicudi, Alicudi, esotiche più che caratteristiche, soprattutto «piene» di mare e sole. «In effetti così come è la situazione mi atterrisce — confessa l’ing. Rodriguez — andiamo avanti in modo artigianale, senza una organizzata politica del territorio che comunque, tranne a Vulcano, è ancora assestato. Il problema è che gli imprenditori non si sono fatti esperti, sono disorganizzati mentre potrebbero inserirsi nel ciclo dei tour-operators, nella politica dei voli-charters, premiando il concetto che è meglio guadagnare di meno lavorando tutto l’anno, piuttosto che molto per due mesi l’anno. Ora stiamo per fare un primo esperimento con alcuni agenti di viaggio tedeschi che hanno chiuso un contratto per 250 posti-letto in tre isole da aprile ad ottobre del ’77». Secondo Rodriguez, però il definitivo decollo turistico dell’arcipelago dipende essenzialmente da migliori collegamenti navali con Napoli (in estate c’è una linea di aliscafi) e con Palermo, Messina e Milazzo, e dipende soprattutto dalla funzionalità delle infrastrutture. «Solleciteremo il Governo regionale, appena sarà eletto, ad approntare i progetti speciali per le isole minori — dice Rodriguez — avvalendosi di 27 miliardi stanziati nel maggio scorso». Ma i responsabili eoliani, in pratica, si sentono traditi dallo stesso E.p.t. di Messina (la provincia da cui dipende l’arcipelago) che, accusa Famularo, pensa solo a Taormina; dall’Assessorato regionale al turismo, dallo Stato e dalla Cassa del Mezzogiorno che non accelerano i tempi per la costruzione di porticcioli e pontili (in barca oggi si attracca solo a Lipari, Vulcano e Salina, per raggiungere le altre isole occorre esser trasbordati dai pescatori) e non si pongono la questione “Eolie” in termini perentori. A pensarci bene, questa delle Eolie è una delle tantissime occasioni sciupate in Sicilia: sette isole da fiaba son lasciate lì, con i loro tesori di bellezza e ogni tanto qualcuno se ne ricorda. Nel mentre i costruttori progettano ville, villette, casine da realizzare comodamente anche perché, come a Vulcano, mancano i piani regolatori.
Antonio Ravidà