A cura di Massimo Ristuccia
LA STAMPA 23. 09. 1930
Un mese a Ponza e a Lipari
Fra le quinte del “confino”
Il commissario Grasso mi tiene il broncio e mi fa sorvegliare – il giornale di Lipari – I libri proibiti – Ibride mescolanze – Il comunista La Camera mi fa da guida e da cicerone.
(dal nostro inviato)
LIPARI, settembre.
La mattina, quando Settimelli, il comunista di Santa Croce sull’Arno, confinalo e cameriere nell’albergo dove sono alloggiato, viene a svegliarmi, nicchiando con discrezione all’uscio della mia camera ml sembra di prender terra all’improvviso dopo una penosa opprimente navigazione lungo i paesi impossibili che il continuo parlare e trattare di politica, o meglio d’ideologia politica, ha generati nel mio cervello.
— Come va. Settimelli? — Come vogliono! — egli mi risponde fiorentinescamente.
Già. E come andrebbe se andasse secondo le sue Idee? Provo a chiederlo; ma Settimelli è già lontano, e sento i suoi passi che scendono le scale. Va a mettere in ordine le camere, aiutato da sua moglie. Forse a quest’ora a già preso, con lei, il caffè e latte. Quando passo per uscire lo Intravedo che sorride amabilmente.
Un commissario di P. S., un giudice e un podestà
Una deliziosa aria di mare m’investe. Ne aspiro II profumo, e sento II desiderio di distrarmi, per qualche ora almeno, dalla mia inchiesta; d’evadere. Insomma. Idee da confino! Inattuabili. Il focoso comunista La Camera ha sostituito il tiepido « unitario » Amigoni nella funzione di guida al confino,- ambedue sono stati molto cortesi con me: Amigoni, un po’ scettico, disincantato e preoccupalo degli anni che passano e degli interessi famigliari; La Camera, giovane e baldanzoso, invasato di teorica e fermamente convinto che il mondo, per necessità di cose, diverrà comunista. Mercè il suo aiuto, rieccomi In pieno sovversivismo, nel mare magno delle passioni politiche e delle frenesie utopistiche, emancipato dalla tutela del Commissario di Pubblica Sicurezza Il buon cavalier Grasso mi tiene un po’ il broncio.
E’ sempre gentile a premuroso con me; ma si sente che il mio contegno non incontra la sua piena approvazione. Io sto facendo la figura del ragazzaccio che ormai s’è impossessato della chiave di casa, e torna quando gli pare. Chi se la gode un mondo è il giudice, un giovane distintissimo e colto, il dottore Drago; il quale si rende conto perfettamente della mia situazione e di quella del Commissario, e conoscendo la natura un po’ sospettosa e ombrosa di quest’ultimo, cerca, per celìa, di insinuargli alcuni dubbi: « Siamo certi, cavaliere — egli dice — che questo signore sia veramente un giornalista? Si è riscontrato se la firma apposta al suo permesso sia autentica? Chi ci assicura che egli non sia qua per organizzare qualche fuga o sommossa clamorosa? Ed ella come intende, signor Commissario, mettersi al riparo da ogni eventualità?. Il cavalier Grasso sorride amaro; ma intanto non trascura di avvertirmi che ogni mio movimento, ogni mio colloquio e ogni mia visita, sono scrupolosamente controllati: « La seguo minuto per minuto, egregio amico! » egli dichiara. Paino, il proprietario della trattoria dove avvengono le discussioni e dove io riprendo contatto col mondo ufficiale, dopo le scorribande nella anarchia o nel comunismo, sorride anch’egli insieme col dottor Drago, sotto i baffi. Il mondo ufficiale di Lipari è naturalmente più numeroso di quello di Ponza: e non tutte le autorità sono a portata di mano. Il Commissario Prefettizio al Comune, colonnello Brunetti, sempre circondato da uno stuolo di personaggi, difficilmente è accostabile: quell’uomo che ha l’aria di compiere una missione decisiva per le sorti della Patria, e fulmina l’intera cittadinanza con le sue occhiate scrutatrici e imperative, m’incute troppo timore perchè lo mi possa permettere l’ardire di avvicinarlo, come mi era concesso di fare col Podestà di Ponza. Non pertanto so che è un accorto e severo amministratore e un equilibrato dirigente, anche se l’Avvenire Eoliano, quindicinale economio-letterario-agrario delle Isole Eolie, a proposito di una cerimonia d’inaugurazione di costruzioni edilizie, avvenuta a Lipari, si sia compiaciuto di “far risaltare che il colonnello Brunetti, inaugurandole, ha espresso l’augurio che quei locali vengano in un avvenire non lontano ceduti al Comune per farne centri di istruzione di civiltà, e ne cessi l’attuale destinazione, perchè debbono scomparire, come atomi dispersi in mezzo al caos, nemici del Fascismo che sono i nemici d’Italia ». Questa frase ha vivamente impressionato alcuni confinati, quali hanno voluto trovare in essa la prova di chi sa quali polverizzatrici intenzioni nei loro riguardi. L’anarchico milanese Robbiati, uno del più insofferenti del confino, che percorre per ore ed ore le strade di Lipari a passo di bersagliere, come una belva in gabbia, si è dato cura di farmi pervenire all’albergo una copia dell’Avvenire Eoliano, contenente la frase, debitamente segnalata.
Ma la sua segnalazione non si riferisce tanto a quella pretesa minaccia, quanto al senso involontario della frase che ho riportata. «Se i sovversivi sono gli atomi — dice testualmente una postilla, firmata dallo stesso Robbiati — chi sono il caos? Lepido, acuto, Robbiati! Egli si vale di una frase poco felice pubblicata su quel giornaletto, per dimostrarmi che gli stessi fascisti definiscono il Fascismo come un caos. I giochi di parole, secondo il Robbiati, son dunque argomenti? E argomenti da prendersi In considerazione? E l’Avvenire Eoliano fa dunque testo, per lui?
La biblioteca dei confinati
In una strada centrale e in una delle più belle palazzine di Lipari ha sede la Biblioteca dei Confinali, che comprende due grandi e ariose Stanze al pian terreno; una di esse contiene gli scaffali dei libri e le collezioni dei giornali, e funge da ufficio di segreteria, e l’altra serve da sala di lettura. Segretario della biblioteca è un comunista siciliano, studente d’ingegneria a Genova. Egli cura con grande passione il funzionamento del servizio, e mi spiega come l’ha organizzato. Mi mostra lo schedarlo, l’elenco degli associati, che sono la gran maggioranza dei confinati, e quello dei volumi che arrivano a duemila circa. E’ furibondo perchè non è stato concesso alla biblioteca il riconoscimento richiesto per poter usufruire delle facilitazioni dell’A.L.I., e mi dice che non si favorisce a questo modo la “battaglia del libro”. E’ furibondo anche perchè la Direzione della colonia ha ritirato centonovantacinque libri, ritenendo non essere opportuno che fossero dati in lettura ai confinati. Lo studente mi affida l’elenco di questi libri proibiti e intanto lo leggiamo insieme secondo la disposizione alfabetica. — Andreieff — comincia — Ambrosini Gaspare. Ambrosini Vittorio… — Ma Ambrosini è al confino — dico io — e l’ho visto a Poma. Chissà come sarebbe felice di sapere che il suo libro, oltreché lui stesso, è ritenuto pericoloso…
— Comunque, se al confino c’è lui, ci può essere il suo libro.. — Ragionando così, si potrebbe anche dire : Se non vogliono il suo libro, non dovrebbero volere neppure lui, che può benissimo diffondere le sue idee senza bisogno del relativo volume. , —
Continuiamo: Aroldi, Arcangeli Baldesl, Barbusse, Beccarl, Bourgin, Bienstock, Berth, Bukarine, Bakounine… Arriviamo, dopo aver gironzolalo col B nel tempo e nello spazio, a Claudel.— Come, come? anche Claudel, Paul Claudel. Ambasciatore di Francia a Washington? Il libro interdetto è Crisi meridiana.
Rimango un po’ perplesso. L’ho letto; è pura letteratura, senza ombra di politica. E allora? Do’ un’altra occhiala al titolo, e mi vien subito un dubbio orribile. Che abbiano letto Crisi meridionale?
L’elenco continua: trovo, fra gli altri nomi del tenero De Amicis, per le sue meschinelle “Lotte civili”; dell’innocuo Gori, del Gobetti, del vecchio Kropotkine. Poi, ancora, Arturo Labriola, Ettore Lo Gatto, pel volume La servitù della gleba e il movimento di liberazione in Russia ; Lenin, Leone, Laskine. Paul Louis e Jack London, pel suo Vagabondo delle stelle. Ci trovo anche — guarda un po’ chi si rivede! — il venerando Carlo Marx, il cui Capitale ho visto su molti comodini del « camerone” di di Ponza. E ancora: …………………………
Il bibliotecario lascia nelle mie mani l’elenco. Come sempre, come tutti, anch’egli attribuisce i fatti, che ritiene penosi ingiusti, a particolari vedute d’organi esecutivi. — Se il Duce sapesse! — in questa frase c’è una confessione, che vale molto più di tanti piccoli malumori.
Passo voi in rivista i vari scaffali, pieni zeppi delle centinaia di volumi, e sfoglio i quotidiani e le riviste di tutta Italia, alle quali la Biblioteca è abbonata che giungono regolarmente. Mi informo sull’assiduità e sulla frequenza dei confinati, e il mio interlocutore approfitta dell’occasione per farmi notare che bisogna distinguere fra i confinati colti o almeno sufficientemente istruiti e desiderosi di letture, e gli “altri”. E’ In stesso “distinguo” che mi son sentito dire, e ripetere più volte, anche a Ponza. Zona oscura
C’è, naturalmente, tra i confinali, una zona oscura, che è indegna di esprimere qualsiasi giudizio, e dalla quale quanti abbiano un senso di dignità e un certo grado di educazione e di equilibrio morale, si preoccupano di tenersi e di mostrarsi ben distinti. Questa zona è costituita da rifiuti sociali, cui circostanze assolutamente occasionali, o criteri errati di qualche Commissione provinciale per le assegnazioni al confino, hanno regalato una immeritata etichetta politica. E’ del resto, una questione abbastanza complicala, almeno al mio giudizio profano; perchè, se non si può negare in costoro l’assenza assoluta di una vera e propria coscienza politica, non si può neppure negare che siano pericolosi all’ordine sociale. Sono degli anormali, degli apolitici; ma in determinate circostanze possono diventare degli strumenti ciechi e sfrenati d’una azione politica, e determinare, sia pure involontariamente, situazioni di carattere nettamente politico. La, mescolanza tra “elementi politici propriamente detti”, e politici d’occasione, dà motivo ai primi di grave offesa e di molte lagnanze. In realtà, ci sono centinaia di individui, tanto a Ponza come a Lipari, ma più Ponza che a Lipari (a quanto mi consta, salvo errore), i quali hanno la fedina penale macchiala da svariate condanne, non soltanto per insubordinazione o per offese all’autorità per ribellione alla forza pubblica, ma altresì per furti, per truffe, rapine omicidi, mancati omicidi, tentali omicidi, e similia. Mi son passati sotto occhi « certificati generali » da far rabbrividire, con tanto di code e codicilli. Il curriculum vitae di uno codesti galantuomini si conclude con una somma di sessantuna condanne; altri arrivava a cinquanta, numerosi i bilanci oscillanti fra dieci e venti.
Come ha potuto, gente simile, acquistare a un certo punto un carattere politico? E’ facile a spiegarsi. L’azione dei Fasci non si è limitata, come si sa, a una delle solite “lotte di partiti”, ma ha dovunque assunto più vaste proporzioni e il compito più profondo di una vera e propria epurazione sociale; e logicamente i pregiudicati, i criminali, la “feccia” che in minore o maggiore misura si annidava in ogni città e in ogni paese, ha visto nel Fascio il proprio nemico mortale. Alcuni si son rassegnati a rinunziare alle loro gesta e alle loro prepotenze, altri, o prima o poi, hanno compiuto gesti qualificabili come « antifascismo ». Ed ecco la causa della loro presenza al confino. Nei loro confronti, il confino è veramente un provvedimento di una generosità e, direi, di una dolcezza senza pari. Per essi è davvero da usarsi la definizione di «villeggiatura»; e non è a dirsi come di tale situazione siano scandalizzati i confinati politici sul serio, che si riducono presso a poco a tre o quattrocento in tutto, tra Ponza e Lipari.
Il ricordo di Ustica
Nei primi tempi del confino, quando i politici » si trovavano disseminati in varie isole, la situazione era, per i gruppi di essi che erano stati assegnati a isole sedi di coatti comuni, come Ustica, molto più grave; e si è appunto con la nuova sistemazione riparato all’inconveniente. Ustica è fra i cattivi ricordi dei confinali che ci sono stati, e che riconoscono nei provvedimenti dell’autorità una saggia valutazione dell’esperienza fatta.
Con l’esodo da Ustica, il confino ha precisato il suo carattere; benché, come ho detto, la “pericolosità politica”, non escludendo un passato di reati comuni, i pregiudicati e i delinquenti non manchino. Di costoro, durante la mia permanenza alle isole non mi sono menomamente occupato. l loro «casi», le loro avventure mi avrebbero senza dubbio fornito ampia e movimentata materia di racconto; ma come ho già avvertito, il mio compito è preciso e ben limitato, né per quanto le divagazioni possano essere divertenti, me le potrei permettere senza nuocere al mio scopo precipuo. Qui a Lipari, a differenza di Ponza, certi contatti si possono evitare: che gran cosa è lo spazio! Ho del resto avvertito che perfino la presenza dei confinati appare a Lipari meno evidente che a Ponza; cosi come il senso dell’isola non giunge a incombere in una maniera ossessionante. La cerchia delle sentinelle è disposta fuori dell’abitato; sicché nulla di eccezionale appare a chi visiti la cittadina, piena di movimento e di traffico, popolatissima, linda e festosa. Una stagione deliziosa e serena mi assiste, e il comunista La Camera, sfidando impavido i sospetti del buon commissario Grasso, si fa in quattro per procurarmi la conoscenza dei confinati. La mattina, quando spalanco la finestra della mia stanza all’Hotel Nizza, lo vedo fermo a qualche negozio nella strada sottostante, che è la principale. Mi aspetta. Dal lato opposto, un agente in borghese, riconoscibile come lutti gli agenti in borghese, sembra profondamente immerso nella lettura d’un giornale, o nella contemplazione delle bellezze architettoniche della casa dirimpetto. Io scendo, salutato con effusione dal comunista Settimelli; il comunista La Camera si mette al mio fianco, e via con lui in esplorazione per Lipari.
MINO MACCARI