L’album dei ricordi : ferragosto del ’59 su La Stampa, quando c’era un’altra gioventù

A cura di Massimo Ristuccia

da LA STAMPA 19.08.1959 N. 196, articolo di di Francesco Rosso

I villeggianti del Ferragosto hanno la vocazione del disagio; ma tra Lipari e Vulcano, tra Stromboli e Panarea, il disagio è soltanto notturno. Col primo sole i bagnanti entusiasti si disperdono su arenili e scogliere. Nel silenzio perfetto, nella primordiale bellezza della natura, si ritrovano quelle ore felici che le deliranti città moderne ci hanno fatto dimenticare. Ex-voto ad Anna Magnani che, girando un film, ha contribuito a divulgare questi luoghi incantevoli.

(Dal nostro inviato speciale) Isole Eolie, 18 agosto. I villeggianti del Ferragosto hanno la vocazione del disagio, questo è noto, ma ancora pochi giorni fa credevo che molte delle loro avventure diurne e notturne nei due giorni sacri alle ferie estive esistessero solo nella maligna fantasia degli umoristi. A Lipari, eppoi a Vulcano, mi sono arreso all’evidenza correndo da un albergo, ad una locanda, ad una casa privata in cerca di un giaciglio per la notte. Mi offrivano una brandina in una cameretta da dividere con sei estranei, oppure mi mettevano alla, porta a muso duro, senza nemmeno la magra consolazione di sentirmi compiangere per la mia sventura di senzatetto.

Alla fine ho trascorso la notte su una branda allineata con quelle di altri due compagni, nello slargo di un corridoio d’albergo, assistendo al passaggio dei fortunati possessori di camere che sembravano tutti irresistibilmente attratti dal bagno. Sacrificando qualcosa alla comodità, Lipari e Vulcano possono ospitare insieme un migliaio di bagnanti; nei giorni di Ferragosto gli ospiti erano più del doppio e le difficoltà logistiche erano pressoché insormontabili. Ma il disagio era solo notturno, col primo sole tutto mutava e la folla di bagnanti si dissolveva nella vastità degli arenili e delle scogliere. Inoltre, bisogna sottolineare che anche il disagio notturno è relativo, i frequentatori delle Eolie appartengono ad una categoria di villeggianti scarsi d’anni e di portafogli leggero ai quali interessa esclusivamente questo remoto paradiso terrestre dove, nel silenzio perfetto, la voce umana riacquista il primitivo valore.

I villeggianti delle Eolie sono quasi tutti, giovani ma non della specie che siamo abituati a vedere sulle spiagge mondane in disincantati atteggiamenti di scettici al doppio whisky, proni dinanzi al frastuono come in adorazione, è una gioventù che ama il silenzio, il sole, il mare e cerca in queste semplici vacanze, in mezzo ad una natura che ha conservato la stupefatta bellezza dei primordi, i contatti puri, ingenui e felici che le deliranti città moderne ci hanno fatto dimenticare. Scesa la sera, non rinnegano la loro giovinezza, ballano nelle piccole sale degli alberghi al suono di una chitarra, o di una fisarmonica, allegri e vivi, ma distanti dalle sguaiate imitazioni di frenesie selvagge. Nelle sei isole Eolie non esiste un juke-box, dannati armadi di deliri sonori, e soltanto a Lipari vi è una normale sala di ballo con orchestra di urlatori, però costretti a cessare a mezzanotte in punto e loro epilessie vocali e strumentali. In quello che fu il regno di Eolo, il silenzio è davvero protetto, e nemmeno l’assalto di Ferragosto ha infranto la norma.

Le vacanze nelle Eolie devono trascorrere nel segno della quiete e nella contemplazione di una natura ancora vergine in cui gli uomini coltivano la vite e l’ulivo, pescano nel mare limpidissimo ed allevano armenti sui colli aspri invasi dalla ginestra come avveniva nella giovinezza dell’umanità. Le case nuove e gli alberghi costruiti da poco non hanno invaso il paesaggio, le strutture basse, circondate da vasti patii di stile spagnolesco quasi spariscono tra il verde degli eucalipti ed il giallo delle ginestre gigantesche e profumate. L’anno scorso hanno costruito a Vulcano una strada panoramica, bene asfaltata e fiancheggiata da cespi di oleandro, che dalla cala di levante sale ad un altopiano da cui si gode la visione dell’intero arcipelago e della costa siciliana, con la cima dell’Etna che svapora azzurra nel cielo. Su quei quattordici chilometri di strada corrono tre automobili, la nuovissima « 500 » del parroco, una « topolino » delle prime serie, una vecchia « 1500 Fiat » che fa onestamente le sue corse sull’erta salita portando cinque turisti alla volta per ammirare il paesaggio e visitare il villaggetto coi soffitti delle case sprofondati perché buona parte degli abitanti (ne sono rimasti settanta) sono emigrati in Australia prima che incominciasse lo sviluppo turistico dell’isola. Le tre automobili non pagano il bollo di circolazione, quattordici chilometri di strada non giustificano la considerevole tassa sugli autoveicoli.

Nino, l’autista della « 1500 Fiat » che trasporta i turisti sull’altopiano, è un giovanotto che ha fatto il militare in continente e conosce il mondo. « Sulla spiaggia delle sabbie nere, mi diceva, dovremmo erigere un monumento ad Anna Magnani. Se non fosse venuta lei a girare quel film, Vulcano non sarebbe venuta di moda e noi continueremmo ad emigrare in Australia ». Non posso affermare che il giovanotto dicesse il vero, ma il film della Magnani ha certo contribuito a far conoscere a milioni di persone quest’angolo di mondo che, se non fosse per quelle tre automobili, si direbbe fermo al limite di qualche millennio addietro. La luce elettrica non è ancora giunta a Vulcano e soltanto negli alberghi » gruppi elettrogeni producono l’energia; nel resto dell’isola il lume a petrolio e la candela rimangono ancora il mezzo di illuminazione più diffuso. Ma chi viene a Vulcano non cerca, e penso nemmeno li desideri, i segni del progresso tecnico che può servire fino alla soglia di questo strano mondo. Si desiderano, ad esempio, comunicazioni rapide, ma per giungere più presto al desiderato paradiso del silenzio. A ciò provvedono gli aliscafi, modernissimi, veloci, confortevoli mezzi di comunicazione che collegano le Eolie a Messina e Palermo con corse frequenti. Ma non appena si è scesi dall’aliscafo, il desiderio di abbandonarsi all’inerzia e buttar via gli abiti cittadini si fa urgente.

A Vulcano, come a Lipari, Stromboli e Panarea, non esiste il problema dell’etichetta mondana, si trascorrono le ventiquattro ore del giorno in costume da bagno, quasi in un ‘ideale ritorno alla nudità dell’infanzia umana. La sensazione di assistere sensibilmente alla trasformazione della materia in energia, è viva ad ogni istante nello spettacolo di questa natura che cerca ancora la sua forma definitiva. A Stromboli è il fantastico bengala che scaturisce dal cratere e si proietta contro il cielo prima di scendere, fiume di magma ardente, a spegnersi tra apocalittici vapori sulfurei nell’acqua del mare, a rievocare il millenario travaglio della terra. A Vulcano sono le fumare, sibilanti soffioni che scaturiscono improvvisi di tra le rocce, o fendono la sabbia nera del litorale, a creare uno spettacolo indescrivibile. Il suolo arde, la terra si fa rovente, il cielo ingiallisce dietro lo schermo dei vapori di zolfo. Incaricato solo di questo compito, un uomo corre a piantare un tabellino con su scritto: “Attenzione, brucia”, nei punti dove esplode la virulenza del fuoco sotterraneo.

Per metri e metri intorno, il mare ribolle per la azione delle fumare, l’acqua si fa biancastra o gorgoglia in crepitii sinistri. Ma non è pericoloso tuffarsi in quei punti, l’ardore sotterraneo si stempera nella frescura marina e, dicono, si trasforma in benefico lenimento di dolori articolari. Intorno alla zona delle fumare si distende il vasto arenile di sabbie nerissime, ed a pochi passi si ergono le cime di due vulcani spenti coi crateri lebbrosi spalancati come bocche di mostri ormai inoffensivi. Il paradiso terrestre delle Eolie ha, nel rovescio, la configurazione di un inferno che non si rassegna a chiudere bottega. In queste zone, tutto sembra avverso all’uomo, gli aridi sconvolgimenti di rocce stanno protesi nel mare d’un azzurro senz’ombra come immagini del dolore terrestre pietrificato; però, appena si aggira un aspro ronchione su cui i residui di zolfo, rame e ferro affiorano col giallo, il verde, il rosso acceso, il paesaggio muta, pecore e capre scattano sui dirupi a brucare la dura erba cresciuta tra gli anfratti dell’arida lava, e se il pastore che le vigila imboccasse la fistula di canna, l’illusione che il Dio Pan sia tornato a circolare da queste parti sarebbe perfetta.

Di mano in mano che si sale verso l’altipiano, la vegetazione infoltisce, i vigneti distillano nel sole l’uva passolina per quella malvasia di Lipari, dolcissima e forte, che qui servono ancore, in piccoli bicchieri di cristallo opachi per gli anni, per la bonne bouche al termine del pranzo. Sull’altopiano si distende il bosco di ginestre, alte e fronzuta come pini, tutte fiorite di giallo e grevi di profumo. Tra i duri alberi che scovano umori anche nelle rocce, una sola voce sa farsi sentire, quella del vento che sussurra trai rami fioriti; il resto è silenzio, pace, immensità luminosa.

Francesco Rosso