
Maria Tindara Cannistrà, di Lipari, è la vincitrice della Borsa di Studio “Anna Leone” promossa dal Centro Studi Eoliano fra i giovani laureati autori di tesi di laurea con argomenti che riguardano le Isole Eolie. La tesi presentata è stata la seguente: “Flussi migratori e caratteristiche demografiche dell’Arcipelago Eoliano XIX-XX secolo ” (Università degli Studi di Messina – Dipartimento di Economia – Laurea Triennale in Economia del Turismo e dell’Ambiente – Anno Accademico 2019 -2020 – Relatore: Prof. Carmelo Crisafulli) . Abbiamo chiesto a Maria Tindara, con la quale ci congratuliamo per il prestigioso risultato e alla quale auguriamo il meglio per il futuro, di inviarci un sunto del suo lavoro su un fenomeno che ha segnato profondamente la nostra storia per condividerlo con i nostri lettori nel mondo.

Grazie alla conoscenza e alla consapevolezza del proprio passato, si può capire il presente e soprattutto ci si può preparare all’avvenire. Ed è proprio dal passato che voglio partire per raccontarvi un po’ delle Isole Eolie… della nostra Casa.
“È incredibile quanto, in mezzo al povero loro stato, tutti quegli Isolani si trovin contenti. Forse Ulisse non portò più amore alla sua Itaca, quanto ne portano essi per le loro Eolie, che, quali che siano, non le cambierebbero coll’Isole fortunate”. Lazzaro Spallanzani, biologo toscano, nel 1788, al termine di un viaggio, durato circa un mese, cosi si esprimeva nel suo libro “Destinazione Eolie”. Eppure la storia ci insegna che mezzo secolo dopo, questa gente lasciò la sua amata terra. Cosa ha generato questo cambiamento? Quali furono gli eventi che sospinsero, gli isolani, verso mete oltreoceano? E qual è l’entità della variazione demografica causata?
Per dare una risposta a questi quesiti, nel mio lavoro, ho messo in relazione, il microcosmo della piccola realtà insulare, con il macrocosmo Sicilia, mettendo così in luce le affinità che li accomunano, ma anche le peculiarità che hanno reso unica la storia delle Isole.
Ho analizzato gli eventi economici e socio-culturali che hanno influenzato e in alcuni casi generato i flussi migratori che in maniera importante caratterizzarono il XIX e il XX secolo nell’Arcipelago Eoliano.
Per studiare compiutamente l’evolversi degli eventi, ho adoperato documenti di natura statistica, quali: Censimento degli Italiani all’estero del 1873, Statistica generale del Regno d’Italia, Annuario statistico dell’emigrazione italiana, dal 1876 al 1925, con notizie sull’emigrazione negli anni 1869 – 1875, la pubblicazione Censimenti e società, 150 anni di dati della Sicilia, e i Censimenti della popolazione effettuati dall’ISTAT.
L’emigrazione della popolazione siciliana si inserisce nel contesto del grande esodo su scala nazionale, ma le cause del fenomeno sono varie e complesse. Anche se in genere si considera l’emigrazione come il frutto di crisi economiche che hanno afflitto il nostro territorio, questa è solo una verità parziale che non riesce a spiegare compiutamente gli eventi presi in esame. Molte volte in passato la Sicilia è stata colpita da gravi crisi economiche, senza per questo assistere ad un esodo, che da molti esperti viene definito emorragico, come è avvenuto tra fine Ottocento e inizio Novecento, e con intensità minore fino a metà del secolo. Bisogna allora riflettere in modo più ampio, per comprendere come la fase migratoria siciliana sia il frutto di diversi fattori che si intrecciano fra di loro, cause endogene ed esogene si sovrappongono e danno il via all’esodo delle “genti siciliani”.
La rivoluzione dei trasporti nella seconda metà dell’Ottocento, accorcia le distanze, fa sì che quello che prima era un mondo sconosciuto ai più, diviene una meta possibile da raggiungere. Sull’isola si diffonde una vera e propria cultura dell’emigrazione, incentivata anche da una fitta rete di agenti e subagenti delle compagnie di navigazione, pronti a vendere il sogno americano. Celebre la frase “Prima di partire dall’Italia, mi dissero che in America le strade erano pavimentate d’oro. Qui giunto mi accorsi che le strade non erano pavimentate affatto, e qualcuno mi disse che toccava a me pavimentarle.”
Da una parte, la crisi economica, e la successiva disoccupazione spingono le famiglie fuori dai confini siciliani, che malvolentieri lasciano la terra natia, i loro affetti e i pochi averi; dall’altra, il sogno della Terra Promessa attrae i più avventurosi, e coloro che avevano qualche piccolo capitale da investire. Non di sola povera gente erano pieni i piroscafi transatlantici. Così, espulsione e attrazione interagiscono e provocano partenze inizialmente di non rilevante entità, che, rapidamente crescono, fino a divenire un flusso inarrestabile nel primo Novecento.

Consultando l’annuario statistico dell’emigrazione italiana 1876 – 1925, possiamo analizzare gli espatri dalla Sicilia, divisi anche per le singole province.
Da Palermo, Trapani e Messina, si assiste già dal 1882 ad un numero di partenze importanti: a Palermo si raggiungono le 1.357 unità, 930 a Trapani e 744 a Messina. È la Sicilia povera dei latifondi e delle zolfare a partire per prima. Le angherie dei caporali nei confronti degli agricoltori, e le disumane condizioni di lavoro nelle cave creano una spinta espulsiva di notevole entità. I siciliani preferiscono l’incerto, alle misere certezze, e seppur con diffidenza si affidano agli agenti dell’emigrazione.

Ma a seguire i dati di tutte le province fanno registrare un continuo trend crescente. Il picco si raggiunge nel 1913 rispettivamente con Caltanissetta 15.399 unità, Catania 20.145, Girgenti (Agrigento) 19.914, Messina 20.744, Siracusa 20.781, Trapani 25.556, unica provincia a fare eccezione è Palermo, raggiungendo il culmine già nel 1906 e facendo registrare ben 28.148 unità. Alla fine del periodo storico preso in esame, si assiste alla partenza di 1.660.555 siciliani.
I paesi che accolgono il maggior numero di emigrati fino al 1920 sono gli Stati Uniti ed il Canada. Il boom industriale ed agricolo che li coinvolge, creano le condizioni ottimali per accogliere mano d’opera non specializzata e a basso costo. Le navi partivano dall’America del Nord portando merci in Europa e rientravano cariche di persone. A partire dal 1921 gli Stati Uniti adottarono una legislazione sempre più restrittiva e ridussero i contingenti di immigrati ammessi sul proprio suolo. Di conseguenza una più alta percentuale di ingressi si registrano negli stati dell’America del Sud, Argentina e Brasile in primis. Durante gli anni trenta del Novecento diventa più difficile espatriare, questo a causa del Fascismo e dell’ideologia della “grande colonizzazione”, l’unica emigrazione ben vista era verso le colonie africane. Assistiamo quindi ad un rapido calo delle partenze verso le mete d’oltreoceano, e ad un aumento delle stesse verso l’Africa. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, si registra nuovamente un trend crescente, e in breve un flusso incessante investe nuovamente tutta l’isola. La destinazione prevalente, adesso, è l’Australia. Un continente dalle “terre infinite”, dove far fortuna con l’agricoltura, il commercio e in misura minore la pesca. “Nel 1947, in un comunicato ufficiale, il ministro Arthur Calwell, annuncia che l’Australia avrebbe aperto le sue porte all’emigrazione europea. Così, tra il 1947 ed il 1971, il paese viene coinvolto nel più stimolante ed avveniristico esperimento di ingegneria sociale del mondo”.

Intorno alla metà degli anni Cinquanta anche i paesi del centro Europa adottano provvedimenti che incoraggiano l’immigrazione italiana. Ne sono un esempio l’accordo bilaterale Italo-tedesco del 1955, quello italo-francese del 1947, il patto con la Gran Bretagna, per il reclutamento di operai italiani da impiegare nelle fonderie, del 1947, o con il Belgio per il reclutamento di minatori italiani del 1946 e 1947. Dopo la guerra c’era un continente da ricostruire, fabbriche da riavviare, e servivano braccia forti per “ripartire”. Si aprivano per i siciliani, le strade verso la Francia, la Germania, il Belgio, prima interessati solo marginalmente dal fenomeno.
Differente appare la condizione economica agli inizi del XIX secolo nelle Isole Eolie. Essa risulta essere abbastanza prospera e sviluppata, tanto da esercitare forza attrattiva verso circa 150 famiglie siciliane che qui vi si trasferirono, e verso alcuni uomini d’affare stranieri, interessati alle miniere di zolfo e allume a Vulcano, e all’estrazione e lavorazione della pomice a Lipari. I punti di forza dell’economia dell’arcipelago erano rappresentati dall’agricoltura, dall’attività mineraria e dal commercio marittimo, una ricca flotta mercantile solcava il Mediterraneo, fino a raggiungere Trieste, Spagna, Francia e Nord Africa. Di trascurabile importanza l’allevamento, infatti si allevavano per lo più ovini, caprini e bovini sufficienti al fabbisogno locale, la pesca era un’attività di diletto atta a procurare giusto il necessario per il fabbisogno familiare. Nonostante questa fase di benessere, si registrano già a metà del XIX secolo le prime partenze dalle isole. Tra il 1860 e il 1888 assistiamo a dei flussi migratori di media entità. Sarà l’ambizione personale, a spingere i primi migranti verso terre lontane. Sono per lo più commercianti e navigatori che hanno deciso di investire parte dei loro averi nella galoppante economia del Nuovo Mondo. A prova di ciò la costituzione nel 1887 a New York della prima società di mutuo soccorso “La Lega Eolia”. Inoltre possiamo menzionare i primi insediamenti in Australia già nel 1854, in seguito alla scoperta dell’oro a Ballart, in Nuova Zelanda dove nel 1878 lo strombolano Bartolo Russo fonda una prima comunità a Island Bay, e tra il 1870 e il 1880, abbiamo notizie di trasferimenti da parte di famiglie benestanti salinare in America Latina.
Questo in netta contrapposizione con le teorie che vedono l’immigrazione eoliana come un evento causato solo dalla miseria.
Tra il 1889 e il 1915, assistiamo ad un mutamento negli eventi, una grave crisi economica investe le Eolie. Il comparto agricolo è messo in ginocchio dall’infezione fillosserica, nell’arco di 18 mesi la quasi totalità dei vigneti marcisce miseramente. L’avvento della navigazione a vapore, segna la fine della ricca flotta mercantile eoliana. Le dispute sull’assegnazione dell’appalto per l’uso delle terre pomicifere liparote, e una gestione incauta delle vendite da parte dei produttori di pomice, genera una crisi commerciale e un conseguente ribasso del prezzo di vendita del prodotto. La maggior parte della popolazione non ha disponibilità finanziarie tali da poter fronteggiare le avversità. Sospinti dalla povertà e attratti dalle promesse di ricchezza degli agenti delle compagnie di navigazione, ormai giunti, anche su questa piccola porzione della Sicilia, circa 10.000 abitanti lasceranno l’arcipelago. I più si dirigeranno verso gli Stati Uniti e l’Argentina.

Quanto costava un “sogno”? Costo del biglietto 190 lire America del Nord, 230 lire America del Sud.
Analizziamo nel dettaglio i flussi migratori e le variazioni demografiche conseguenti. Ugo Losacco nel suo scritto “Nell’Eolie alla fine dell’Ottocento”, ci dà una stima degli Eoliani che lasciarono la propria terra tra il 1890 ed il 1892, 414 persone. Dal comune di Lipari partirono 181 abitanti, di cui 109 diretti negli Stati Uniti, 50 per l’Australia e 22 per Marsiglia. Dai comuni di Salina partirono 233 abitanti, di cui 147 dirette negli Stati Uniti, 72 in Australia, 9 in Francia e 5 in Argentina.

Ma siamo solo agli inizi del processo migratorio, secondo Attilio Mori dal 1901 al 1914 emigrarono 9.916 Eoliani. Di questi 6.719 si recarono negli Stati Uniti, 2.527 in Argentina e 670 in Australia. Nei primi del Novecento inoltre varie decine di marinai di Filicudi ed Alicudi si impiegarono come palombari o come braccianti generici nella costruzione dei nuovi porti in Tunisia e Algeria. Possiamo valutare i mutamenti demografici che interessarono le isole, comparando i dati della popolazione presente ai censimenti. Assistiamo a un trend crescente tra fine ‘800 e inizi ‘900, si registrano 18.550 unità nel 1881, 20.455 nel 1901, 20.610 nel 1911; per poi notare un’inversione di tendenza negli anni a seguire, 19.078 unità nel 1921, 17.865 nel 1931, 17.697 nel 1936, fino ad arrivare a 14.782 unità nel 1951. Sull’isola di Lipari, la popolazione che risulta al censimento del 1951 sarà il 90,37% di quella che c’era nel 1910, a Salina invece il 69,37%, a Filicudi il 41,24%, ad Alicudi il 40,71% a Stromboli il 26,50%; Vulcano registrando un fenomeno opposto si popola, vi è una crescita del 151,28 (bisogna ricordare che l’isola era quasi disabitata fino ai primi del ‘900).
Come vediamo il dato di Stromboli è il più eclatante, ma l’abbandono dell’isola, oltre che alle cause già trattate e da imputarsi anche alle tremende esplosioni vulcaniche che si sono verificate prima nel 1919 e poi nel 1930. La paura e la disperazione si impadronirono dei residenti e in tantissimi decisero di emigrare.


Le Eolie dal punto di vista demografico non ricorderanno più un periodo così florido come quello che va dagli anni ’80 agli anni ’90 dell’Ottocento, quando nel 1891 contavano 21.210 abitanti.
Le partenze, dopo il calo registrato a causa del fascismo e della seconda guerra mondiale, riprendono nel 1947 e fino al 1960 si assiste ad un notevole flusso migratorio. Gli anni del secondo dopoguerra, sono caratterizzati da una profonda incertezza e sfiducia verso il futuro. Si lasciano le isole non sospinti da un reale stato di indigenza, ma dalla necessita di costruire una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Il duro lavoro nei campi o nelle cave, non è più una realtà accettabile. Le politiche di immigrazione del governo australiano e le catene di richiamo indirizzano molti espatri verso le terre oceaniche. Di fatti, nello studio da me condotto sui registri dell’agente di viaggio Renato De Pasquale, negli anni che vanno dal 1949 al 1967, su 1.734 emigranti, 1.686 si dirigono in Australia, 37 negli Stati Uniti e 11 in Canada. Anche se è da notare che la comunità eoliana in Australia, risulta essere già molto progredita a metà del Novecento. Tra il 1890 e il 1940 emigrarono in Australia circa 2.000 Eoliani, di cui 650 da Lipari, 850 da Salina, 500 da Stromboli, Alicudi, Filicudi e Panarea. In rapporto all’emigrazione di tutta l’Europa meridionale, quella isolana rappresenta il 4,2%. Nel 1951 gli immigrati dalle Isole raggiungono le 7.000 unità. Rappresentano il gruppo più numeroso di italiani naturalizzati. Negli anni ’50, in seguito alla grande ondata migratoria, tra prima e seconda generazione, si registrano circa 30.000 presenze. Ad oggi è la comunità eoliana estera più rilevante, sia per il numero dei componenti, che per il legame socio-culturale molto radicato, che li lega alla terra dei propri avi.


Le partenze continueranno sino alla fine degli anni ’60, quando grazie ai benefici che il turismo porterà alle Eolie si verificherà un’inversione di tendenza, fino ad avere un saldo migratorio positivo nei primi anni’70.
Inevitabilmente, i cambiamenti demografici, descritti, hanno mutato profondamente la realtà isolana, a tal punto da traghettare nel XXI secolo una popolazione con una fitta rete di connessioni socio-culturali con comunità negli Stati Uniti, Argentina, Nuova Zelanda e Australia.
Adesso è nostro dovere fare in modo che la storia non si ripeta, che i giovani Eoliani non siano costretti a lasciare la propria Terra per realizzare i propri sogni. Non si può vivere di un turismo mordi e fuggi legato a pochi mesi di stagionalità. Le nostre amate isole meritano di più, Noi tutti meritiamo di più e dobbiamo trovare la strada per dar vita alle nostre ambizioni.