
La sentenza
Pubblicato il 01/08/2022 N. 02137/2022 REG.PROV.COLL.
N. 02008/2021 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2008 del 2021, proposto da
Fallimento Pumex S.p.A. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Luciano Scoglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Siciliana – Assessorato Regionale Beni Culturali e Identita’ Siciliana, Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Trihills Heavy Industries Ltd, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Caldarera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
– del D.D.G. n. 3815 del 13.10.2021 adottato dal Dirigente Generale dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana – Dipartimento dei Beni Culturali, con cui l’area ex Cava di pomice – compresi i fabbricati e i capannoni con i macchinari e gli impianti ancora rilevabili all’interno degli stessi- sita nel Comune di Lipari, è stata dichiarata di interesse storico ed etnoantropologico in quanto individuata tra i beni elencati dall’art. 10 comma 4 lett. h del d.lgs. n. 42/2004 e dall’art. 2 l.r. sic. n. 80/1977;
– nonché, ove occorra in funzione strumentale, della comunicazione di avvio del procedimento per la verifica di ufficio e la dichiarazione di interesse culturale ex artt. 10, comma 4 lett. h, 12, comma 2, e 13 del d.lgs. n. 42/2004, inviata, come all.1 della nota n. prot. 19526 del 26/8/2021, dalla Soprintendenza BB.CC. di Messina al Comune di Lipari per la pubblicazione all’Albo Pretorio;
– nonché, ove occorra in funzione strumentale, della nota del 12.10.2021 prot. n. 22922 della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, di trasmissione all’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana – Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Servizio Tutela e Acquisizioni – con cui la Soprintendenza riconosce l’area ex cava di Pomice sita nel comune di Lipari come sito minerario di interesse storico ed etnoantropologico;
– nonché, ove occorra in funzione strumentale, della relazione tecnico scientifica inviata dalla Soprintendenza all’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana – Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Servizio Tutela e Acquisizioni – con la nota del 12.10.2021 prot. n. 22922 sopra indicata;
– nonché, ove occorra in funzione strumentale, di tutti gli atti ed i pareri connessi, presupposti o consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Siciliana – Assessorato Regionale ai Beni Culturali e all’Identita’ Siciliana e Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2022 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Esponeva in premessa la ricorrente “Società Siciliana per l’industria ed il commercio della pomice di Lipari”, in liquidazione (rappresentata dalla curatela in quanto dichiarata fallita con sentenza n. 2/2015) di essere proprietaria degli stabilimenti, attivi sino all’anno 2007 per la lavorazione della pomice.
Aggiungeva la Curatela che, proprio al fine di rimpinguare l’attivo fallimentare, con contratto del 24 giugno 2019 aveva venduto alla Trihills Heavy Industries LTM i beni mobili (macchinari, impianti, passerelle etc.) presenti nell’enorme stabilimento.
Affermava che al momento dell’apposizione da parte della Regione del provvedimento di vincolo sugli stessi macchinari e attrezzature, oggetto dell’odierna impugnazione, tali lavori di smantellamento dell’apparto produttivo sarebbero stati eseguiti per oltre il 65% del totale.
Pertanto, anche alla luce dell’avvenuta eliminazione dai luoghi originari di tali beni, parte ricorrente contestava la valutazione di bene culturale data dall’Assessorato al complesso dell’area ex industriale.
In termini ancor più generali, affermava che l’attribuzione della valenza culturale a beni privati, determinante in automatico un vincolo legale, avrebbe richiesto una motivazione che, proprio in considerazione dei l’opinabilità dei criteri tecnici, dovrebbe essere particolarmente rafforzata, in modo da garantire, tra l’altro, il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza, oltre che i criteri di ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza dell’azione amministrativa.
Censurava, pertanto, gli atti impugnati evidenziando che:
– in maniera del tutto impropria la decisione dell’apposizione del vincolo sarebbe stata presa, in sostanza, dal Presidente della Regione, organo politico, e non dall’Assessorato competente.
Infatti, ad opinione della ricorrente, le Amministrazioni si sarebbero adeguate alle dichiarazioni del Presidente della Regione, ponendo in essere un’istruttoria assolutamente superficiale.
Tale circostanza avrebbe comportato che un atto di discrezionalità tecnica, quale la valutazione di bene culturale, sarebbe stata sostanzialmente adottata, in termini del tutto esorbitanti, per via politica;
– in ogni caso, il provvedimento sarebbe stato adottato senza esaminare effettivamente gli atti istruttori, come dimostrato dal fatto che la sua adozione da parte del Dirigente Generale dell’Assessorato regionale BB.CC. era avvenuta in data 13.10.21, pur essendo stati inviati gli atti istruttori in data 12.10.21, ovvero solo il giorno prima.
In sostanza il decreto di vincolo sarebbe stato adottato in assenza dell’esame dei atti istruttori formati dalla Soprintendenza di Messina e senza alcuna attività di controllo e verifica da parte del servizio Tutela e Acquisizioni dello stesso Assessorato al quale tali atti sarebbero materialmente pervenuti solo il 28.10.2021, ovvero quindici giorni dopo l’adozione del vincolo;
– pur distinguendosi, nelle premesse del provvedimento, tra porzioni dell’area di interesse come archeologia industriale e aree minerarie di interesse etnoantropologico, nella parte dispositiva dello stesso si sarebbe fatto riferimento solo a quest’ultimo interesse: tale contraddizione non avrebbe fatto emergere con certezza quale sarebbe stato l’interesse pubblico da tutelare;
– nella relazione tecnico-scientifica integrante il contenuto del provvedimento sarebbe stata totalmente assente la descrizione e la valutazione delle condizioni attuali dell’area di escavazione sita sopra la strada provinciale, che avrebbe costituito la porzione più direttamente soggetta allo scopo primario di tutela, a partire dal quale sarebbe stato possibile estendere il vincolo anche agli stabilimenti di lavorazione;
In assenza del preliminare riscontro e descrizione dell’esistenza di testimonianze di particolare importanza in tale area (ex art. 10 comma 3 del d.lgs. citato) non avrebbe trovato, pertanto, giustificazione l’imposizione del vincolo sull’insieme;
– il verbale di sopralluogo preliminare, necessario per la valutazione dei beni, non avrebbe contenuto le datazioni (necessarie per escludere, come per legge, i beni di età inferiore ai 70 anni) e la descrizione (per la valutazione del collegamento funzionale con l’interesse tutelato degli immobili) dei beni mobili e immobili da vincolare. Tali elementi sarebbero mancati anche nella successiva relazione tecnico scientifica, in base alla quale si sarebbe vincolato indistintamente un unicum di oltre 586.000 mq. e volumetrie per oltre 185500 mc;
-in relazione ai macchinari dell’impianto di più recente realizzazione, lo stesso verbale, nella dichiarazione secondo cui si sarebbe trattato di macchinari degli anni 50/60, avrebbe testimoniato della loro “età” inferiore a 70 anni. Il provvedimento non avrebbe affatto distinto i beni in base alla loro diversa risalenza.
Evidenziava, dunque, che gli immobili che essa stessa aveva realizzato, considerata la propria costituzione giuridica nel 1958, sarebbero stati per definizione realizzati entro il settantennio, mentre gli altri immobili non sarebbero stati da essa mai utilizzati per l’esercizio dell’attività di miniera. Analoghe osservazioni sarebbero valse per i macchinari, aventi un’età recente;
– nel complesso la valutazione sarebbe stata non proporzionale, inadeguata e irragionevole.
In particolare, sarebbe stata irragionevole l’imposizione del vincolo ad un’area vastissima, di addirittura 586.400 mq. Il vincolo avrebbe pregiudicato le attività di dismissione del patrimonio poste in essere dalla curatela, con definitivo pregiudizio dei crediti ammessi al passivo, tra cui quelli dello Stato, ammontanti a quasi due terzi dei crediti privilegiati.
L’Amministrazione avrebbe dovuto valutare una limitazione del vincolo, concentrandolo soltanto sull’ex area estrattiva, unica reale testimonianza dell’attività “mineraria, ad opinione della ricorrente, su cui avrebbe potuto realizzarsi il parco geominerario. Il museo della pomice, sempre secondo la ricorrente, avrebbe potuto essere realizzato in un ex stabilimento di lavorazione della pomice ben più antico, vincolato con DA 6975/1993 o in un altro ex stabilimento di lavorazione della pomice, oggi di proprietà del Comune di Lipari, posto in prossimità del mare, e con diretta accessibilità tramite viabilità pubblica;
– il provvedimento sarebbe stato in contrasto con l’autorizzazione data dalla Soprintendenza nel 2017 per la eliminazione di tutti i nastri di trasporto e i relativi accessori, ovunque allocati all’interno dell’area di proprietà, e del pontile. Inoltre la Soprintendenza aveva ammesso nel 2011 la destinazione ricettiva alberghiera di tutti gli immobili di proprietà Pumex in località Porticello;
– la perimetrazione sarebbe stata realizzata non in base all’orografia ma in base al confine virtuale di un foglio di mappa catastale;
– anche la documentazione fotografica non sarebbe stata aggiornata;
– alcuni fabbricati non avrebbero avuto alcun legame funzionale con l’attività di estrazione della pomice.
Tutto ciò premesso, la società ricorrente chiedeva l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento degli atti impugnati.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione regionale, la quale depositava una nota interna degli uffici (prot. 216 del 10/1/2022) nella quale quest’ultima prendeva posizione sulle censure formulate nel ricorso, evidenziando, in premessa, la peculiarità del vincolo di natura etnoantropologica apposto e l’inammissibile sconfinamento dei rilievi della ricorrente nella sfera della discrezionalità tecnica riservata alla P.A.
Nel merito la stessa Amministrazione negava ogni ingerenza degli organi politici sulla decisione di adozione del provvedimento, affermava la completezza, alla luce dell’ampia estensione dell’area, dell’istruttoria condotta, la risalenza ultrasettantennale dell’attività di cava e l’assenza di contraddittorietà tra il vincolo e i precedenti provvedimenti, riconoscendo solamente la presenza di alcuni refusi ed errori nell’indicazione delle particelle catastali interessate.
Si costituiva, altresì, ad adiuvandum, la Trihills Heavy Industries Ltd, la quale chiedeva, in accoglimento del ricorso proposto dal Fallimento e del proprio atto di intervento, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
La società ricorrente depositava, in vista dell’udienza di discussione, una memoria nella quale, alla luce delle difese articolate dalle controparti, ribadiva e precisava le argomentazioni sviluppate nel ricorso.
All’udienza del 23 giugno 2022, udite le difese delle parti, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
Ciò premesso, il ricorso deve essere accolto nei termini seguenti.
Pare ragionevole dubitare, anzitutto, dell’effettivo completo esame degli atti istruttori predisposti dalla Soprintendenza da parte del Dirigente che ha adottato, in data 13 ottobre 2021, il decreto di apposizione del vincolo.
Il ristrettissimo ambito temporale, di un solo giorno, per la verifica della documentazione redatta dalla Soprintendenza, l’incertezza sull’effettiva consegna e trasmissione in tempo utile di tali atti istruttori, oltre che la (non contestata) tardiva presa in consegna degli stessi atti, da parte del Servizio Tutela ed acquisizioni (cfr. all. 15 del ricorso introduttivo) inducono a ritenere ragionevoli e fondate le censure di difetto di istruttoria preliminare denunciate da parte ricorrente con il secondo motivo di ricorso.
La preliminare istruttoria condotta dalla Soprintendenza di Messina, formalmente trasmessa, attraverso mezzi diversi dalla posta elettronica, solo in data 12 ottobre 2021, potrebbe, in effetti, già solo in considerazione dei tempi di consegna, non essere stata presa in considerazione dal Dirigente generale ai fini dell’emanazione del decreto n. 3815/21, di apposizione del vincolo di interesse storico ed etnoantropologico sull’Area ex Cava di Pomice del Comune di Lipari.
L’Amministrazione, infatti, non ha espressamente indicato la data in cui questo ultimo avrebbe ricevuto tale documentazione.
Trattandosi, d’altra parte, di accertamenti e valutazioni preliminari indubbiamente essenziali per la dichiarazione di interesse storico delle aree e l’apposizione del vincolo su di esse, è evidente che il vizio fatto valere con le documentate censure della società ricorrente, non specificamente contestate dall’Amministrazione, è tale da rendere già di per sé illegittimo l’atto impugnato.
Fondati, altresì, sono i motivi di ricorso con i quali la ricorrente, evidenziando come il decreto rinviasse alla relazione tecnico-scientifica, sia per la descrizione dell’area vincolata, edifici compresi, che per le valutazioni, ha sottolineato:
– l’assenza della descrizione dell’area di escavazione che costituirebbe lo scopo primario di tutela a partire dal quale è stato esteso il vincolo anche agli stabilimenti di lavorazione;
– l’assenza di una verbalizzazione analitica degli esiti del sopralluogo compiuto dalla Soprintendenza i cui esiti sono stato trasmessi all’Assessorato con nota dell’11/6/2021;
– la mancanza, nella relazione tecnica scientifica allegata alla nota trasmessa in data 12 ottobre 2021, di alcun riferimento al sopralluogo e ad un elenco completo dei macchinari e delle attrezzature, con la loro presumibile datazione, e degli immobili vincolabili secondo legge.
Ed invero, appare dirimente il fatto che la relazione presente in atti si limita, in poco meno di due pagine, a descrivere genericamente tre aree del più ampio comprensorio da assoggettare a vincolo, in cui si situano gli impianti industriali, individuando questi ultimi mediante una descrizione in poche righe dei diversi edifici, padiglioni ed apparati che li compongono, che, per la sua sommarietà, deve giudicarsi assolutamente insufficiente a soddisfare i requisiti minimi di determinazione dei contenuti stessi del provvedimento e della sua motivazione.
Non si riferisce, nella stessa relazione, dei sopralluoghi che sarebbero stati a tal fine effettuati e nelle foto allegate non si rinviene alcuna riproduzione degli interni degli edifici e dei macchinari, che in essi dovrebbero esser presenti, utili a testimoniare lo svolgimento dell’attività mineraria in ragione del quale è stato dichiarato il vincolo etno-antropologico.
Anche la documentazione fotografica allegata appare insufficiente e, in taluni casi, addirittura non aggiornata all’attuale stato dei luoghi. La perimetrazione dell’area e delle particelle interessate, per stessa ammissione dell’Amministrazione (v. nota 216 del 10/1/2022, p. 4), presenta errori ed imprecisioni che confermano l’inadeguatezza ed il carattere approssimativo dell’istruttoria condotta, al punto che la stessa Amministrazione, nel passaggio della nota appena richiamato, afferma la necessità di una rettifica del provvedimento.
Tali carenze non paiono rimediabili.
Nel rispetto dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sarebbe stato infatti necessario che gli atti impugnati, con cui si è proceduto ad apporre un vincolo ad un’ampia area territoriale quale quella qui presa in considerazione, avessero contenuto una descrizione ben più dettagliata dei beni o, quanto meno, delle zone interessate, con la precisa indicazione del contesto paesaggistico, degli immobili esistenti, della loro posizione e delle loro dimensioni e la valutazione del rapporto tra le finalità del provvedimento di tutela e l’ambito specifico di territorio a tal fine individuato.
Più specificamente, in relazione alla dichiarazione di interesse culturale di un bene e degli stessi siti minerari di interesse storico od etnoantropologico, il combinato disposto degli artt. 10 comma 4, 13 e 14 del d.lgs. 42/2004 prevede che tale qualità vada accertata “nella cosa che ne forma oggetto”, con ciò confermando la necessità di un’analitica descrizione dei beni interessati da tale dichiarazione.
Diversamente, un provvedimento, quale quello in esame, basato su atti istruttori con le carenze rilevabili nel caso in esame, risulta di fatto indeterminato, ed il vincolo che ne deriva, a sua volta, irragionevole e contrario ai principi di proporzionalità, interessando indistintamente un’area di vastissima estensione in termini assolutamente generici, senza un’espressa e dettagliata motivazione, con correlativo notevole sacrificio dei proprietari degli stessi immobili, tra i quali, in via principale, l’odierna ricorrente.
Coglie nel segno, altresì, il ricorso, nella parte in cui evidenzia che l’apposizione del vincolo sarebbe illegittima anche in considerazione del fatto che la realizzazione di nessuno dei beni presenti nell’area risalirebbe ad almeno settanta anni prima.
Ed invero, la risalenza ad una data almeno pari a quella appena indicata è richiesta, dall’art. 12 del d.lgs. 42/2004, per i beni indicati all’articolo 10 comma 1 dello stesso decreto legislativo, tra cui sono, per l’appunto, compresi (ai sensi dell’art. 10 comma 4 lett. h del medesimo decreto) “i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico”.
A questo proposito la parte ricorrente ha dimostrato (e l’Amministrazione non è stata in grado di fornire prova contraria) che la realizzazione degli impianti da essa costruiti risale a delle date più recenti che, pertanto, non soddisfano il predetto requisito temporale, con ciò rimanendo accertata l’insussistenza di uno dei basilari requisiti per l’apposizione del vincolo predetto.
Infatti, la società ricorrente ha evidenziato che gli immobili oggetto del sopralluogo dell’8 giugno 2021 sono stati da essa stessa realizzati, ed essendosi essa costituita nel 1958, la loro costruzione rientra, effettivamente, entro il settantennio.
Per converso, l’Amministrazione ha genericamente dedotto che il vincolo non si riferisce ai singoli beni ma alla cava e alle attività connesse, che sarebbero “certamente .. esercitati da ben oltre settanta anni”, senza tuttavia specificare quale sarebbe la precisa data di inizio. Non solo nelle difese in giudizio, ma neanche negli atti istruttori che hanno preceduto l’emanazione del provvedimento si riviene alcuna specifica datazione dei beni ricompresi nel vincolo.
In questi termini, le censure formulate dalla ricorrente, in quanto basate su precisi riferimenti cronologici non adeguatamente smentiti dall’Amministrazione – la quale ha invece proposto delle controdeduzioni assolutamente generiche – devono ritenersi fondate.
Nella motivazione del provvedimento emerge, altresì, la mancata considerazione dei termini in cui il vincolo culturale si dovrebbe coordinare con la precedente destinazione di una parte delle aree interessate a possibile destinazione turistico-alberghiera, come da nota n. 52/VIII – 1469 – U del 10.1.2011 della Soprintendenza BB.CC. di Messina.
Da quanto evidenziato discende, dunque, la fondatezza delle censure articolate dal ricorrente nei motivi di ricorso esaminati, i quali, considerata la loro portata tranciante e satisfattiva dell’interesse della ricorrente nonché la loro significatività e prevalenza rispetto agli altri motivi, consentono di accogliere il ricorso con assorbimento delle ulteriori doglianze svolte negli altri motivi di ricorso, in ossequio al criterio della “ragione più liquida”, declinazione del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242).
A questo proposito deve altresì tenersi conto che le tematiche sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209 e 18 luglio 2016 n. 3176).
Ciò posto, deve in conclusione disporsi l’annullamento, sotto tali assorbenti profili, degli atti impugnati, fatta salva, ovviamente, l’eventuale riedizione del potere da parte delle Amministrazioni interessate, nel cui esercizio esse saranno dunque onerate, tra l’altro, alla più precisa individuazione, a seguito di più dettagliata istruttoria, delle aree e dei beni da sottoporre al vincolo predetto.
Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza in giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna la Regione Siciliana – Assessorato Regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana al pagamento delle spese del giudizio in favore di Fallimento Pumex S.p.A. in liquidazione, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori di legge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2022 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Brugaletta, Presidente
Maurizio Antonio Pasquale Francola, Referendario
Salvatore Accolla, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Salvatore Accolla | Francesco Brugaletta | |
IL SEGRETARIO