Palermo- Sette anni di condanna ma ne ha scontati per l’esattezza 4 e 11 mesi . Totò Cuffaro da domani sarà nuovamente un uomo libero. L’ex presidente della Regione Sicilia, il politico che ha scontato la pena più lunga, lascerà Rebibbia, grazie all’indulto di un anno per i reati “non ostativi” e allo sconto di 45 giorni ogni sei mesi per buona condotta.
La sua nuova vita lo vedrà volontario in Burundi presso l’ospedale Cimbaye Sicilia, struttura “che, quand’ero Presidente, la Regione Siciliana ha finanziato con i soldi del Fondo della Solidarietà” . Lo aveva scritto al presidente Crocetta.
La storia giudiziaria – come ricorda il Giornale di Sicilia- che poi ha portato alla condanna di Cuffaro comincia il 5 novembre 2003 con la scoperta di “talpe” negli uffici della Procura. La rete di spionaggio, che fa capo al ras della sanità privata Michele Aiello prestanome di Bernardo Provenzano, si regge su due insospettabili, Giorgio Riolo sottufficiale del Ros dei carabinieri e Giuseppe Ciuro della Dia, che vengono arrestati. Sono la punta emergente di un sistema di complicità sommerse ma anche di truffe al sistema sanitario. Le indagini coinvolgono un altro sottufficiale dell’Arma, Antonio Borzacchelli, il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro. Il governatore viene individuato, attraverso intercettazioni, come un punto di snodo della rete delle talpe. Sarebbe stato lui il principale terminale delle fughe di notizie su indagini riservate. Sarebbe stato lui anche ad “avvertire” Guttadauro che gli investigatori avevano piazzato una microspia nel suo salotto di casa. Cuffaro lo aveva appreso a sua volta da Borzacchelli poi eletto deputato all’Assemblea regionale in una lista collegata all’Udc.
Il 2 novembre 2004 Cuffaro è rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra e rivelazione di segreti d’ufficio. Il processo si apre il primo febbraio 2005 davanti alla terza sezione del tribunale e si conclude il 18 gennaio 2008 con la condanna a 5 anni di reclusione. Confermate tutte le imputazioni ma cade l’aggravante del favoreggiamento della mafia. Pesanti le pene per gli altri imputati: 14 anni a Michele Aiello, 7 a Riolo. Cuffaro, che intanto è stato rieletto nel 2006 presidente della Regione, annuncia che non si dimetterà. Ma le polemiche subito esplose vengono rinfocolate da un’immagine che riprende il governatore con un vassoio di cannoli siciliani. Lui nega di volere “festeggiare” la condanna per favoreggiamento semplice ma l’eco mediatica lo induce a fare un passo indietro e il 26 gennaio 2008 si presenta all’Ars per presentare le sue “dimissioni irrinunciabili” e per annunciare: “Mi batterò in tutte le sedi per affermare la verità”.
L’appello però aggrava la posizione dell’ex presidente della Regione. Il 23 gennaio 2010 la corte d’appello di Palermo riconosce l’aggravante del favoreggiamento di Cosa nostra e condanna Cuffaro a 7 anni. La pena è aumentata anche per Aiello a 15 anni e 6 mesi e per Riolo a 8 anni. L’ultimo atto di una vicenda che segna la caduta del politico da un milione di voti viene scritto dalla Cassazione il 22 gennaio 2011. Le condanne vengono confermate mentre Cuffaro attende il verdetto raccogliendosi in preghiera in una chiesa e invocando la Madonna. Quando conosce la sentenza prende la strada del carcere di Rebibbia. Prima di varcare il portone del carcere dice ai cronisti: “Sono un uomo delle istituzioni e ho rispetto della magistratura. Affronterò la pena com’è giusto che sia”.