di Francesco Coscione
Tutti noi ci siamo assuefatti alla sofferenza e alla morte. Non ci fanno più effetto, siamo incapaci di piangere per le immagini di cadaveri di bambini abbandonati per giorni su una spiaggia libica. Forse sono tra quelli intercettati dalle motovedette libiche e riportati “a casa loro”. Li è il loro posto, li devono morire. In questo nostro occidente opulento non c’è posto per sofferenza e morte che qui non devono neanche essere rappresentate.
Dopo due giorni anche la catastrofe della funivia si trasforma solo nella caccia ai colpevoli, i morti ormai hanno terminato il loro compito. Abbiamo tentato di imbiancare anche il sepolcro dei morti per Covid, sarebbero deceduti ugualmente, la maggior parte aveva più di ottant’anni, erano comunque inutili a questa società troppo veloce per loro.
Salvo poi scoprire che, secondo l’ OMS, si ritiene che siano il triplo di quelli ufficiali. Ah già scusate l’ OMS… Ogni tragedia dura il tempo di uno scroll sullo smartphone. Tutto deve essere fulmineo, scomparire, divenire ineluttabilmente vecchio e da eliminare, anche il dolore. Questa è la società che, senza accorgercene, abbiamo costruito e che adesso ci costruisce.
Non abbiamo più neanche il coraggio di dire che una persona è ammalata, adesso si chiamano “fragili”, come i vasi di vetro. Viva il “politicamente corretto”. Eliminiamo qualunque parola che ci faccia pensare alla sofferenza e alla morte, ubriachiamoci di nulla, eliminiamo il pensiero (di quello critico ne facciamo a meno da tempo immemore ormai).
Un tempo i valori e le idee cambiavano, oggi non esistono. I giovani? Li abbiamo nutriti di vuoto, dovremmo avere almeno la dignità di non pretendere da loro ciò che non hanno mai neanche conosciuto.