A Lipari la rivoluzione silenziosa per la libertà in Myanmar : da oggi installazione a Unci e sui social

A Lipari la rivoluzione silenziosa per la libertà in Myanmar : da oggi installazione a Unci e sui social
Michele Bellamy Postiglione

#FreeMyanmarSilentRevolution è la rivoluzione silenziosa del “Principe attivista” Michele Bellamy Postiglione che è impegnato sui social dal febbraio 2021 in seguito al colpo di stato nel Myanmar. Con un colpo di mano improvviso la junta militare  ha preso il controllo assoluto del paese, annullato l’esito delle elezioni appena svolte e impedito l’insediamento del nuovo parlamento, per poi procedere all’arresto di tutti i leader politici fra cui Aung San Suu Kyi di cui ancora oggi non si hanno notizie.

Michele Bellamy Postiglione, che è nato in Myanmar ma vive a Firenze,  è figlio di June Rose Bellamy Yadana Nat Mai principessa di Limbin della dinastia Konbaung dalla quale eredita il titolo con il quale firma i suoi post contro la dittatura militare e per il ripristino della libertà nel Myanmar.

La sua attività di curatore d’arte lo ha portato per anni a realizzare sul territorio di Lipari progetti di arte urbana, i più recenti dei quali con lo streetartist Demetrio Di Grado, ed è da questa esperienza che nasce l’idea di uscire dal virtuale per materializzare nel mondo reale la sua “rivoluzione silenziosa per la libertà del Myanmar” mediante una grande installazione di 10 mq., una sorta di tazebao 3.0 il cui contenuto è una selezione dei post più significativi firmati come #MyanmarActivistPrince

Il senso di questa opera di grande dimensione è di creare quell’interesse che adesso manca sul dramma in atto nel Myanmar mediante la condivisione della stessa facendo “rete” finché ritorni virtuale con la speranza che diventi virale.

La location individuata è Canneto di Lipari, nella zona di baia Unci dove esiste l’unico spazio adeguato per dimensioni, la data scelta per la realizzazione dell’installazione è venerdì 26 agosto 2022.

La speranza è di trovare altre realtà disponibili ad ospitare questa opera che invoca, come un grido disperato, la fine della dittatura nel Myanmar.