L’album dei ricordi: ” Nelle isole della infamia fascista si muore di fame e di torture”

guerra di classe

di Massimo Ristuccia

Grazie alla Biblioteca Libertaria Armando Borghi di Castelbolognese.

Dal volume di Franco Schirone L’Unione Sindacale Italiana tra esilio e clandestinità (1923 – 1945) edizioni Bruno Alpini.

 All’interno del libro articolo del mensile dell’unione sindacale italiana del 1931:

“NELLE ISOLE DELLA INFAMIA FASCISTA SI MUORE DI FAME E DI TORTURE

Notizie strazianti ci pervengono dalle isole di deportazione. La condizione di migliaia di cittadini italiani deportati dal governo fascista diventa di giorno in giorno sempre più spaventevole.

Al principio di quest’anno si è aumentato il numero delle colonie di deportati. Le isole di Lipari e di Ponza non erano più sufficienti per contenere i prigionieri del regime, si sono stabilite nuove colonie alle Tremiti nell’Adriatico, e Lampedusa, nel Mediterraneo, prossimo all’Africa. I tremiti è una rocca selvaggia, vicino al litorale delle Puglie, e Lampedusa che fu già nel 1927 colonia di deportati politici e teatro delle gesta criminali del tristemente famoso tenente veronica, è un lembo di terra arido e bruciato, di qualche chilometro quadrato.

In tutte le quattro colonie la vita dei disgraziati prigionieri è brutale. Dopo l’evasione di Lussu, Rosselli e Nitti dall’isola di Lipari, nel 1929, si è stabilito nelle isole un regime di terrore, che ha fatto già numerose vittime. Con uno spaventevole “crescendo” la milizia fascista, solo arbitra della situazione, infierisce contro le vittime. La direzione politica delle colonie dei deportati è passata completamente nelle mani della milizia. La polizia ha il solo incarico dell’amministrazione. A Lipari vi è una guarnigione di seicento militi per cinquecento deportati.

Un “console” (colonnello fascista) comanda la guarnigione, con 11 ufficiali, che sono tutti dei vecchi “squadristi”.

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A Lipari, dopo l’assassinio del deportato ………, di Trieste, ucciso dai militi in un negozio del paese a colpi di calcio di moschetto, un altro deportato, Sollazzi fu trovato presso le mura del castello dove trovasi la caserma della milizia. Sollazzi era stato scannato. L’indomani mattina gli stessi militi arrestavano un altro deportato, padre di otto figli, sotto l’accusa d’aver ucciso Sollazzi. Una ventina di deportati domanda di poter testimoniare che il loro compagno era restato con essi tutta la giornata dell’assassinio e che quindi non aveva nemmeno un momento avvicinato il Sollazzi. Non si tenne alcun conto di questa domanda. Ma vi è di più. Il commesso barbiere aveva parlato a dei deportati e raccontato la scena alla quale aveva assistito il giorno dell’uccisione. Sulla pressante domanda dei compagni del defunto, il giovane commesso si recò presso le autorità dell’isola per deporre. Ma appena sorti dagli uffici della direzione, l’incomodo testimone fu trasportato a viva forza alla caserma della milizia, bastonato, ferito e torturato. Egli ne sorti più morto che vivo, dopo aver sottoscritto una dichiarazione secondo la quale riconosceva di non aver nulla né visto né inteso circa l’assassinio del Sollazzi. Ed il povero deportato arrestato, benchè innocente, è in prigione da diversi mesi, sempre nell’attesa di essere condannato per un delitto commesso dalla milizia!

Ogni giorno le scene di violenze si ripetono, i deportati sono bastonati, arrestati, insultati, tutte le notti, d’ora in ora, i militi fanno degli appelli e delle visite ai domicilio dei deportati. Ogni ora si svegliano i disgraziati, li si obbliga a levarsi dal letto e a rispondere all’appello. Questo dopo le sette di sera fino al mattino.

L’avvocato Beltramini, che fu già deportato per un periodo di due anni (1926-28) per i suoi precedenti di deputato socialista di Como, ha nuovamente, come tanti altri ex-deportati, raggiunto Ponza e questa volta per cinque anni. Come l’avvocato Beltramini, l’avvocato Pelladini e gli antifascisti Umberto Pagani, Scartezzini, sono stati, dopo un breve periodo di libertà, rinviati alla deportazione per cinque anni.

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Ultimamente l’avvocato Beltramini è stato arrestato e condannato a tre mesi di prigione per aver risposto con qualche minuto di ritardo ad uno degli appelli notturni, a un’ora del mattino.

Le condizioni fisiche e igieniche dei deportati sono abominevoli. Il governo paga in questo momento cinque lire al giorno ad ogni deportato. Molti fra essi hanno famiglia, una vecchia madre, dei bambini, che vivono nelle isole. Queste innocenti creature sono condannate alle privazioni le più dure e qualche volta alla fame. Vi è numero sempre crescente di ammalati. Molti sono colpiti da malattie contagiose. Numerosi sono i tubercolosi condannati ad una morte lenta.

Le spie e gli agenti provocatori pullulano, sotto in maschera di deportati. Questi ignobili individui cercano tutto il tempo di compromettere i prigionieri con le delazioni, con falsi complotti e con documenti fabbricati; e tutto ciò in pieno accordo con la polizia e milizia fascista. Nel 1930, a Lipari, sono stati arrestati 73 deportati sotto l’accusa di complotto comunista. I disgraziati, trasportati in una notte di tempesta a Messina, vi restarono in prigione nove mesi. Nel 1931, altri gruppi più o meno numerosi di deportati subirono in tutte le isole, la stessa sorte.

Il morale dei prigionieri, malgrado queste terribili sofferenze, si mantiene sempre alto. Il primo maggio di quest’anno, i deportati di Ponza manifestano nelle vie del piccolo paese, al grido “Abbasso il fascismo”! La repressione della milizia fu feroce. Si bastona e si tortura molti deportati.

A Lipari, dopo cinque anni di permanenza della colonia dei deportati politici, la popolazione, stanca di vedere ogni giorno dei spettacoli di violenza contro i prigionieri, e indignata anche per le aggressioni subite da molti abitanti dell’isola da pari dei militi, ha inviato una petizione a Roma domandando la dissoluzione della colonia dei deportati.

Naturalmente la cosa non ha avuto alcun seguito.”

isole infamia fascista