L’album dei ricordi: Expedition into Sicily (1777)

di Massimo Ristuccia

payneAvevo trovato questo libro su una bancarella a Torino e ho avuto modo di approfondire: riporto la traduzione solo dove racconta di Stromboli e Lipari ed aggiungo qualche piccolo riferimento in merito. Il libro è edito da Claudia Strumpf del British Museum e narra il viaggio in Sicilia nel 1777 di un ricco inglese accompagnato da due altrettanto benestanti acquarellisti. Fù la ricercatricea trovare il manoscritto originale. Il testo è stato negli anni studiato da diversi ricercatori sia stranieri che italiani.

RICHARD PAYNE KNIGHT EXPEDITION INTO SICILY 1777

edited by Claudia Strumpf published by British Museum 1986.

STROMBOLI, 23 APRILE

Lasciammo porto Palinuro il giorno 22 alle due del mattino, ma essendo il vento molto debole, non raggiungemmo Stromboli prima della sera del giorno dopo. A circa trenta miglia dall’arrivo, apparve il monte Etna bianco di neve con il fumo che scendeva lungo i pendii. I territori ai suoi piedi, malgrado ben sopra l’orizzonte, restarono per un certo tempo invisibili a causa della densità dei bassi strati dell’atmosfera. Mi fu detto che l’Etna spesso visibile dal promontorio di Palinuro, ma durante la nostra permanenza lì, l’aria non fu mai abbastanza tersa.

L’isola di Stromboli è una montagna conica che si erge dal mare ed è fatta interamente di materiale vulcanico. Al momento, il fumo fuoriesce dal lato di nord-ovest vicino alla sommità, che è piuttosto spoglia e ricoperta da scorie di lava sparse. Gli altri versanti sono coltivati riccamente a vigneti, il cui vino è molto rinomato.

 stromboli payne

Di notte, grazie al bel tempo, si vede del fuoco balenare dal cratere, ma era insignificante. Quando piove o c’è vento da sud si ha spesso una piccola eruzione. Il rumore è quasi continuo e molto forte, simile a un tuono. Volevamo raggiungere la sommità ed esaminare il cratere, ma ci fu impedito da un’ordinanza del Re di Napoli, che vieta ogni contatto con gli abitanti, pena la quarantena.

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Lipari 24 aprile.

La città è situata in fondo ad una piccola baia, su una roccia di lava che si protende sul mare, meravigliosamente frastagliata e abbellita da cespugli.

A non molta distanza, essa appare molto legante e pittoresca, essendo circondata da una piccola zona pianeggiante cosparsa di case e giardini, oltre i quali s’innalzano i monti, un tempo vulcanici, ma ora diventati ricchi vigneti disseminati di alberi di fico, gelsi, ecc. Le case sono intonacate di bianco, con tetti piuttosto piatti, che, innalzandosi uno sull’altro, formano alcuni gruppo molto pittoreschi; ma entrando in città la vista cambia e tutto è sporcizia e miseria. Mentre i miei compagni disegnavano, io mi sono svagato camminando verso la sommità dell’isola. Dopo essere salito per quasi un’ora tra i vigneti, sono arrivato a delle rocce ignee nude, sulle quali mi sono arrampicato con sforzo e difficoltà, aspettandomi di vedere nient’altro che sterilità e desolazione; ma, all’arrivo in cima, sono stato subito sorpreso dalla vista di uno splendido anfiteatro naturale di circa trecento iarde di diametro, sprofondato tra rocce perpendicolari, con il terreno ricoperto da vigne e con alcune casette isolate. Questo era stato un tempo il cratere del vulcano, ed essendo circondato da rocce porose, è rimasto asciutto e fertile, sebbene le acque non mostrino alcuno sbocco visibile.

Dalla sommità di queste rocce si vedono tutte le isole Lipari e le coste della Sicilia e della Calabria. Subito sotto di un di esse c’è Vulcano, un nudo ammasso di cenere in grado di produrre a malapena muschi. Da qui essa sembra essersi sollevata molto dopo le altre, le quali sono fatte dello stesso materiale, ma il tempo ha trasformato le loro ceneri e lave in suolo e questo, malgrado sia asciutto, è fertile e stranamente adatto alla coltivazione della vite.

Fazello sostiene che essa si sia sollevata tra la seconda e la terza guerra Punica durante il consolato di Labeo e Marcello, ma ciò nasce da un errore di interpretazione di un passo di Orosio, che allude a Vulcanello;

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Vulcano è menzionata da Tucidide, che dice essersi formata ai suoi tempi, ed è citata anche da Aristotele che parla di una grande eruzione per quest’isola, eruzione che ricoprì molte città italiane di cenere. L’isola era anticamente chiamata Thermessa e Hiera e i poeti immaginavano che fosse la fucina di Vulcano. Strabone racconta che ai suoi tempi essa bruciava in tre punti. Attualmente brucia soltanto in un punto e anche poco. In poche migliaia di anni, essa può, a causa dei lenti cambiamenti della materia vulcanica, diventare fertile come il resto dell’isola, che di certo è molto migliorata dai tempi di Cicerone il quale definisce il suo suolo POVERO E STERILE (Marco Tullio Cicerone, Le orazioni, II III, 37, 84.).

Stromboli e Vulcano sono i soli vulcani attivi al giorno d’oggi, essendo Lipari spento sin dai tempi di Strabone. I suoi Bagni caldi continuano ad essere molto celebrati per la loro salubrità. Sin qui che a Vulcano si possono trovare grandi quantità di una specie di vetro nero che i naturalisti chiamano Agata Islandese, spesso usata dagli antichi nella scultura.

La notevole influenza che i cambiamenti del tempo hanno sui fuochi di queste isole permette ai marinai, che hanno dimestichezza, di prevedere con notevole certezza i pericoli associati ai diversi venti; di qui le fantasie dei poeti sulla Cava di Eolo, ecc. Essendo Stromboli il vulcano più alto e più esposto ai venti, si credeva che esso fosse la residenza del Dio; da qui Virgilio:

EOLO SIEDE SULLA CIMA DELLA RUPE (Publio Virgilio Marone, Eneide, I, 56).

Allo stesso modo egli nota come il rumore continuo della montagna e lo attribuisce ai venti turbolenti rinchiusi in essa.

QUELLI CON IMMENSO STREPITO FREMONO RABBIOSI CONTRO I FIANCHI DEL MONTE (Publio Virgilio Marone, Eneide, I, 55 – 56).

Valerio Falco l’ha descritto anche con più dettagli.

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SUL MARE DELLA SICILIA, NELLA PARTE DOVE PELORO SEMBRA STACCARSI , E’ UNO SCOGLIO, SPAVENTOSO DI ONDATE, CHE DI QUANTO S’INNALZA, CON LA MASSA, NEL CIELO,

D’ALTRETTANTO S’IMMERGE NEL PROFONDO DEL MARE.

UN’ALTRA TERRA SI VEDE, VICINA, CON ROCCE E SPELONCHE DI NON MINORE GRANDEZZA ( Gaio Valerio Flacco, Argonautiche, I, 579 – 582).

Alcuni geografi e archeologi hanno supposto che Virgilio applicando in altra occasione l’attributo Eolia all’isola di Lipari, avesse fissato li la Cava di Eolo; ma a parte le testimonianze di Plinio e di Strabone, il verso stesso dell’Eneide mostra a sufficienza l’intendimento del poeta. La descrizione di Flacco è ancora più stringente, dal momento che Stromboli è separata dalle altre isole proprio come lui la descrive, mentre Lipari è strettamente circondata da esse. Tutte queste isole erano consacrate ad Eolo, e l’epiteto Aeolia è attribuito di volta in volta a ciascuna di loro. Gli autori greci e romani contavano solo sette di queste isole, sebbene attualmente ce ne siano dieci. O le tre piccole rocce che completano il numero attuale sono state spinte in alto da fuochi sotterranei in tempi recenti, oppure non sono state considerate tanto importanti da essere contate.

Dopo aver trascorso la giornata a Lipari, dormimmo nella feluca e partimmo poco dopo la mezzanotte per Milazzo, l’antica Myla, dove giungemmo in meno di quattro ore.

 cartina eolie 1777